Basta parlare cinque minuti con Lucia Minervino per essere investiti dalla sua carica di energia straripante. Non potrebbe essere altrimenti, come farebbe ad affrontare giorni e giorni in bici, senza incontrare nessuno, cercando solamente dentro di sé la spinta per andare avanti? E’ questa la motivazione che l’ha portata a essere una specialista tra le più affermate dell’ultracycling, specialità in piena evoluzione che sta abbattendo tutti i muri del pregiudizio.
Una matematica donata alla bici
Il bello è che a questo destino Lucia è arrivata tardi: «Io sono laureata in matematica, figurarsi, da ragazzina pensavo per me un futuro completamente diverso. Mi piace pensare che a questo sono arrivata perché la bici mi ha scelto. Non è stato il contrario, anche se naturalmente sono stata io un giorno a entrare in un negozio e acquistarne una. Ma mai avrei pensato a quanto avrebbe cambiato la mia vita».
Affrontando il tema ultracycling bisogna partire da un presupposto: la classifica non è così importante. Non lo è almeno per questa ragazza calabrese che si è avvicinata al ciclismo dopo i trent’anni: «Inizialmente mi sono dedicata alle marathon di mountain bike, ma diciamo che quella è stata una scuola necessaria ma noiosa. Le trovavo brevi e poco attraenti, non mi davano le emozioni che cercavo. Poi venni a sapere delle ultracycling ed è stato amore a prima vista. Sia chiaro: quando sei lì t’interessi sempre a quel che fanno gli altri e se sei davanti ci vuoi rimanere, ma non è l’elemento primario che ti porta ad affrontare queste esperienze. Io cerco emozioni e queste gare ne danno tantissime».
L’amore per il Pollino
Che cosa allora spinge ad affrontare gare che hanno una durata estrema, anche su più giorni? «II gusto della scoperta. La voglia di vedere posti sempre nuovi, di sfidare i propri limiti, ma per me c’è qualcosa in più che si è affinato col tempo. Pedalando è come se uscissi dalla mia dimensione abituale ed entrassi in una comfort zone fatta di routine: dormire, mangiare, pedalare e poi si ricomincia. Mi alieno da tutto, entro in un’altra realtà, tutta mia, qualcosa di cui sento il bisogno».
La bici è anche strumento di lavoro per la Minervino che nel suo Pollino ha un B&B a cui ha abbinato un servizio di tour in bici per tutto il territorio: «Devo dire grazie alla bici anche perché mi ha fatto innamorare del mio territorio, me lo ha fatto scoprire. Io volevo andar via dalla Calabria, ora voglio che sempre più gente la conosca, se ne innamori come me. Così ho lanciato l’idea di pacchetti per escursioni abbinate alla mia struttura.
Il difficile ritorno alla routine
«Non nascondo che quando torno dalle mie trasferte, riprendere la normale routine è dura. Mi sembra tutto lontano, poi però ci pensa il mio Pollino a riabbracciarmi, ad accogliermi come una mamma comprensiva. Le escursioni sono qualcosa di completamente diverso dalle esperienze di ultracycling: se lì sono da sola, qui mi trovo con gente, a parlare, a guidare, a raccontare e probabilmente anche questa differenza aiuta».
Tornando al discorso delle ultramaratone, come detto si tratta di prove articolate su più giorni, in completa autosufficienza, dove vivere solamente con le proprie emozioni, anche con momenti difficili: «Quelli non mancano mai. Con il tempo ho imparato che una gara di ultracycling non andrà mai come avevi programmato: problemi meccanici, di salute, climatici stravolgono ogni progetto. I momenti difficili non sono mancati, anche all’ultima gara ho vissuto gli ultimi 250 chilometri convivendo con una grave forma di dissenteria, rischiando la disidratazione, mettendoci tutto quel che avevo pur di arrivare al traguardo».
La paura sull’Aspromonte, di notte…
Qual è stata la volta che Lucia ha incontrato la paura, quella vera? «Se proprio devo dire, mi ha fatto paura l’Aspromonte di notte: pur avendo la torcia con me mi sono sentita sola, persa, spaurita. Era una paura insita in me: ero partita con l’idea di affrontarlo di giorno, invece in quell’occasione la pioggia mi costrinse a fare solo una ventina di chilometri, ma avevo l’avversaria appena dietro e quindi non potevi fermarmi. L’Aspromonte di notte è cupo, chiuso dagli alberi, hai sempre l’impressione che qualcosa salti fuori all’improvviso. E’ più un confronto franco e aperto con se stessi, con quelle paure insite e primordiali, infatti quando al mattino sono arrivata mi sentivo vincitrice, a prescindere dal risultato, perché avevo affrontato la mia parte oscura».
Attraverso le ultramaratone si ha modo di conoscere il territorio? Di solito chi gareggia non ha tempo e attenzione per vedere quel che c’è intorno: «E’ questo il bello di questi eventi. Si va a velocità ridotte e quindi si ha modo di guardarsi intorno, scoprire com’è il nostro pianeta angolo dopo angolo è un’attrattiva di questo sport. Io grazie all’ultracycling ho visto tutte le Dolomiti e le Alpi francesi, ma anche il Gran Sasso e altro. Io poi mi sono ripromessa di non fare mai le stesse gare proprio perché voglio scoprire sempre di più. Infatti conto di viaggiare di più all’estero, l’anno prossimo sono già iscritta a un evento in Croazia».
Una sorpresa a ogni curva
Lucia, tornando al suo Pollino, che cosa direbbe a chi volesse venire a conoscerlo da vicino? «Io dico sempre a chi viene che non serve andare sulle Alpi, il Pollino ti regala scorci inattesi, ti sorprende a ogni curva. E’ la zona più alta del Sud Italia e lo continuo a scoprire anch’io insieme a loro. Quando arrivano alla mia struttura chiedo loro che cosa intendono fare, quali escursioni, di quale durata, perché voglio che si sentano a loro agio. Poi ci penserà il territorio ad accoglierli, come ha fatto con me…».