| 27 Agosto 2025

Otto giorni in Islanda, 690 km di vento e avventura: i preparativi

Questo viaggio in Islanda è nato con l’idea di condividere un’avventura estrema insieme a Umberto, che prima che ci conoscessimo aveva già percorso da nord a sud l’isola a piedi e in solitaria. Un’esperienza che mi ha sempre raccontato con orgoglio e un po’ di nostalgia per quella sensazione di forza, che si può sentire solamente quando si entra in contatto diretto con la natura. Così dopo la bella esperienza di bikepacking in Andalusia, abbiamo deciso di alzare l’asticella e di puntare verso la terra del fuoco e del ghiaccio. Già, perché l’Islanda è famosa per i suoi vulcani ancora attivi e i ghiacciai, come il Vanatjokul, il più grande d’Europa.

L’Islanda non è affatto piccola

Vedendola sul mappamondo, si può facilmente sbagliare a valutarne le dimensioni: l’Islanda non è affatto piccola. Per percorrerla da est a ovest sulla strada principale, la n.1 che fa il giro di tutta l’isola, bisogna fare oltre 600 chilometri, più della distanza tra Milano e Roma. Dopo aver provato a tracciare diversi percorsi con l’aiuto di Komoot, abbiamo capito che la soluzione migliore per dodici giorni di vacanza per noi sarebbe stata un’altra.

I primi due giorni e mezzo, con una macchina a noleggio saremmo andati da Reykjavik a Egilsstaðir, a est dell’isola. Qui avremmo trovato un piccolissimo aeroporto per consegnare l’auto e poter così partire in bicicletta. Il percorso pianificato andava in direzione ovest, al di fuori dalle classiche rotte turistiche. Tagliava il centro dell’isola, ovvero la parte più remota e desolata, tra campi di lava, vulcani e ghiacciai, per tornare a Reykjavik in otto tappe e un totale di 690 chilometri.

I cartoni delle bici

Questo piano probabilmente sarebbe stato il più economico e semplice per raggiungere il punto di partenza del nostro tour. In più ci avrebbe consentito di vedere alcune delle attrazioni turistiche più note lungo il tragitto, come Geysir, la spiaggia dei diamanti, Skogafoss e diverse altre cascate spettacolari. Un altro problema che avremmo risolto con il noleggio dell’auto sarebbe stato raggiungere Reykjavik dall’aeroporto e trovare un hotel disponibile a tenere per qualche giorno i cartoni con i quali avremmo trasportato le bici in aereo. In questo modo, ritornando poi al medesimo hotel a fine giro, eravamo certi di trovare i nostri scatoloni ben conservati.

A tal proposito ci sono hotel che chiedono un contributo per il deposito. Tuttavia, spendendo qualche decina di euro in più per il pernottamento, abbiamo subito trovato un hotel disponibile a farlo gratuitamente, a un passo dal centro di Reykjavik.

Otto giorni in autosufficienza

Tornando alle biciclette, per affrontare un tour di otto tappe nel deserto islandese in autosufficienza, con la tenda e senza particolare supporto dai rifugi, nei quali sapevamo di poter trovare acqua e poco di più, abbiamo dovuto caricare molto le nostre bici. Nei primi giorni pesavano infatti circa 40 chili. Dovevamo avere sufficienti scorte alimentari, la tenda, il fornelletto, il filtro per l’acqua, powerbank e pannelli solari, oltre ovviamente al vestiario idoneo al variabile meteo islandese.

Va detto che la caratteristica principale del clima dell’isola è un persistente vento, che talvolta soffia così forte che non si riesce nemmeno a stare in piedi, pioggerella fine a intermittenza e in alcune zone anche possibile neve ad agosto.

Le temperature oscillano tra i tre o quattro gradi di notte e i 15 nelle ore più calde di una giornata soleggiata. In valigia abbiamo così messo copriscarpe, cappelli e fasce, calzamaglia, giacche windstopper, maglie intime invernali, impermeabili con cappuccio, guanti, calze spesse e un completo corto, che sinceramente non avrei mai pensato di usare. In un viaggio così non si può soffrire il freddo, né rischiare di restare con i vestiti bagnati addosso. Quindi meglio una giacca in più che una in meno, spesso la stanchezza porta a percepire maggiormente il freddo.

Borse e zaino

Abbiamo distribuito il peso su due borse posteriori di Ortlieb da 35 litri ciascuna. Uno zaino da almeno 40 litri, che potevamo scegliere di mettere in spalla o sul portapacchi posteriore a seconda della difficoltà del percorso. Una borsa al telaio, utilissima per tenere a portata di mano qualche rifornimento, cappelli o guanti in caso di freddo e una serie di attrezzi per la riparazione della bici.

Infine anteriormente Umberto aveva una borsa al manubrio, mentre io due portaborraccia, che mi permettevano di caricare fino a tre litri di acqua, utile sia per il deserto che per bilanciare un po’ la distribuzione del peso sulla mia bici. A causa del manubrio stretto e della ridotta altezza della serie sterzo nella taglia piccola, non riuscivo infatti a montare una borsa al manubrio standard

Gravel Camino della Sonder

Come per il viaggio in Andalusia, abbiamo scelto le bici gravel Camino della Sonder. Su questi percorsi, grazie alle particolari geometrie del telaio in alluminio rinforzato e ad altre caratteristiche tecniche, garantiscono nel complesso un maggior comfort e una migliore guidabilità rispetto ad altre bici simili.

Considerando la tipologia di terreno e il peso che avremmo dovuto trasportare, ci siamo assicurati anche di avere una maggiore resistenza sulle nostre ruote FSA con canale da 28 mm. Perciò raggi a testa dritta (per la ruota posteriore addirittura rinforzati), come quelli usati nella downhill, in quanto generalmente subisce più sollecitazioni. Inoltre ci siamo affidati alla tecnicità dell’azienda Deaneasy per la scelta di pastiglie freno più potenti e durevoli per le nostre bici, le Dual Carbon, e l’olio per la catena Dry Lube, specifico per condizioni di sporco e sabbia. Per ultimare il sistema ruota al meglio, nei giorni precedenti al viaggio abbiamo fatto anche dei test per valutare quali gomme fossero più resistenti e scorrevoli. La scelta alla fine è ricaduta sullo stesso modello che abbiamo usato in Andalusia, le Vittoria Terreno T50 Mixed Gravel Endurance in versione tubeless. 

Insomma, con un equipaggiamento così completo e tecnico e gran parte della componentistica più soggetta ad usura delle nostre biciclette rinnovata, non ci restava che incrociare le dita per scongiurare gravi imprevisti o un estremo maltempo, che avrebbero inevitabilmente compromesso il viaggio.

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