| 19 Giugno 2024

Oldbici e i campioni del passato: ogni restauro è un viaggio…

«Le bici vengono smontate alla vite. Sono un po’ maniacale. La mia officina è come una sala operatoria. Ingrasso e poi rimonto ogni singolo componente».

Dietro questa storia c’è la passione di Nicola Brunelli, classe 1980, professione ingegnere. Nicola vive in Trentino, a Rovereto, ed ha corso fino alla categoria Under 23. 

Poi?

Poi ho capito che era meglio studiare, ma l’amore per la bici è rimasto e nel 2013 è nato Oldbici che, tutt’ora, è una passione che affianco al mio lavoro da ingegnere.

Come è nata l’idea di restaurare bici?

Un giorno, dopo che avevo smesso, mi portarono una Umberto Dei da passeggio, da sistemare. Ci ho messo le mani e mi è piaciuto. Poi ho pensato: “Perché non provare con le bici da corsa, che sono il mio mondo?”. E da lì sono partito e non mi sono più fermato. Ho avuto bici di grandi campioni del passato: Bugno, Chiappucci, Indurain, Armstrong, Wiggins…

La Bianchi in acciaio con cui Bugno corse nel 1992, anno del secondo mondiale
La Bianchi in acciaio con cui Bugno corse nel 1992, anno del secondo mondiale
E come li hai contattati? 

Un po’ tramite i social. Un po’ tramite i contatti che avevo quando correvo. Un po’ grazie a mio fratello che ha un negozio di bici. Ho restaurato bici di loro proprietà, ma ho anche una mia collezione privata. Pensa che ho una Wilier di Pantani del ‘97…

Sul tuo sito ci sono anche varie bici con componenti in legno, come mai?

Quella del legno è un’altra mia passione: realizzo soprammobili e mobili per la mia casa. Per cui quando mi mandavano da restaurare le bici, ho fatto anche componenti con questo materiale. Pedali, manubri, reggisella…

Queste bici sembrano opere d’arte, anche in virtù dei contrasti che creano…

E mi sono spinto oltre! Telai anni ‘70 modernizzati con componentistica nuova, con contrasti forti. Di recente mi sono procurato una bici dei primi anni ‘90, di Greg Lemond, la TVT 92 col Campagnolo Record. Ebbene, mi sono chiesto come sarebbe stata con il nuovo gruppo elettronico della stessa serie, così l’ho realizzata, adattando il telaio per montare tutta la parte elettronica. Questa pazzia però me la sono tenuta per me…

E’ più una stravaganza o una nicchia?

Entrambe, in questi giorni un ragazzo mi ha portato una vecchia Mtb anni ’80 e mi ha chiesto di farne una gravel montata con un gruppo supermoderno, monocorona. E’ venuta bene, funziona. Le prime mtb in acciaio avevano belle geometrie e dei colori davvero sgargianti, tipici di quegli anni.

Qual è la scintilla che muove il tutto?

Dieci anni fa ho avuto l’intuizione di svuotare fondi di magazzino di vari negozi di bici, per cui ho tanti, tanti componenti degli anni ’80 e ’90. Mi piace ridare una seconda vita alle biciclette e soprattutto mi piace il percorso. Trovare la bici di un grande campione del passato, con la componentistica che era unica (non come oggi che puoi avere la stessa bici di un pro’). Mi piace fare foto, interminabili ricerche. Contattare, farsi mandare le sigle, sfogliare i cataloghi Campagnolo e Shimano dell’epoca. Scandagliare le foto di Sirotti nel suo incredibile archivio online.

Insomma ogni restauro ha una storia dietro…

Sì, senti questa. Un giorno vedo un annuncio su internet di un ragazzo milanese che vendeva a 200 euro la bici con cui andava tutti i giorni all’università. Ebbene, lui non lo sapeva, ma era la bici di Tom Steels, il velocista belga degli anni ‘90. Il numero di telaio marchiato e certificato Colnago non mentiva. Gliela compro, dice che l’aveva avuta da suo zio, ma vai a sapere… Ci aveva messo un manubrio da passeggio e aveva cambiato la sella. Era distrutta, tutti i componenti erano grattati. Così mi sono armato di pazienza e dopo 5-6 mesi l’ho riportata a come era in origine.

E ora dove è finita?

Di solito quando finisco un restauro, la bici ce l’ho lì davanti a me. Faccio due foto e la vendo: non mi lego tanto, ad eccezione di quelle dei campioni a cui tengo. Ora quella di Tom Steels è da qualche parte in Asia, come quasi tutto quello che faccio. Taiwan, Giappone… Un altro mercato importante per me è quello americano. Sono in contatto con un ragazzo newyorkese che mi ha mandato un sacco di bici, tra cui quella di Hincapie, gregario di Armstrong, e due di Armstrong stesso. Lui le compra, ma magari manca una ruota o la catena. Io gliele rimetto a posto e poi gliele rispedisco. In Italia, invece, non c’è mercato…

Sono storie al limite dell’incredibile. Qual è il tuo modus operandi?

Le bici vengono smontate alla vite, ogni parte viene ingrassata e rimontata. Di solito preferisco mantenere i telai con la vernice originale. Anche se mi è capitata una Moser di Mauro Santaromita, gregario di Bugno, che, a causa del sudore e del tempo, aveva il telaio irrimediabilmente rovinato. Per cui ho dovuto sabbiarlo, riverniciarlo e cromarlo. Ma in genere, come dicevo, preferisco pulire tutto per bene, salvaguardare la vernice ad acqua di quei tempi e mantenere i segni del passato.

Che tipo di clientela hai?

Principalmente collezionisti. Ho notato che ho sempre a che fare con persone di una certa età, non ci sono giovani. Non è come le auto o le moto d’epoca. In questo settore non hanno una passione di base. Io invece quando correvo sono cresciuto in mezzo alle bici, perché le mie me le sistemava mio padre.

Probabilmente ciò è anche dovuto al fatto che i trentenni di oggi sono cresciuti nell’epoca del carbonio. Restauri solo bici in acciaio?

Sono arrivato fino alla prima bici carbonio che ha vinto la Parigi-Roubaix, la Colnago C40 MK1 (la stessa della tripletta Mapei del 1996), e la prima bici in carbonio ad aver vinto il Tour, la Trek di Armstrong del 1999. Ti racconto la storia di quest’ultima…

Vai…

E’ stato proprio Johan Bruyneel (allora direttore sportivo del texano) a commissionarmi il restauro. Sono stato tre giorni a Madrid da lui e ad una certa mi fa: «Non farmi la versione da montagna, fammi la versione standard». Incuriosito, gli ho chiesto quale fosse la versione da montagna ed è venuto fuori che Armstrong aveva voluto copiare Pantani per cui aveva chiesto che per le tappe di montagna la leva del deragliatore anteriore fosse montata sul telaio, invece che al manubrio. Per guadagnare qualche grammo dal Dual Control dello Shimano Dura-Ace…

La Pinarello di Indurain, telaio in acciaio realizzato da Pegoretti
La Pinarello di Indurain, telaio in acciaio realizzato da Pegoretti
Quale restauro ti ha dato più soddisfazione?

La bici di Miguel Indurain, telaio Pinarello in acciaio realizzato dal mitico Dario Pegoretti. Anche quella l’ho realizzata per Bruyneel: lui aveva solo il telaio e qualche componente acquistato da Manolo Saiz, il direttore sportivo della Once (squadra spagnola degli anni ‘90), nonché grandissimo collezionista. Poi l’ho fatta certificare da Pinarello. Per me dopo Merckx viene Indurain, come palmares e come persona…

E invece qual è stata la richiesta più strana?

Ci sono delle signore che sanno che traffico con le bici e che mi portano, ad esempio, quella della mamma che non c’è più e che è stata ferma venti anni in cantina. Allora gli metto su qualcosa di strambo (un cestino, un paragonne colorato, pedali e manopole in legno…) in modo da avere un mezzo che gli ricorderà per sempre il proprio genitore.

Prima e dopo: servono colpo d’occhio e intuizione, ma il risultato è sbalorditivo
Che idea ti sei fatto del mondo che gira intorno a L’Eroica?

E’ una bellissima iniziativa, speriamo che rimanga sempre in evidenza la passione per la bici, per il passato, per i corridori, insomma che il business non superi questa cosa. Nei mesi che anticipano l’evento di Gaiole, mi bombardano di richieste anche solo per noleggiare una bici per la manifestazione o risistemare la propria. Poi per un anno la appendono e l’anno dopo ritornano per una messa a punto.

E invece le bici elettriche? Immaginiamo siano ai tuoi antipodi…

Ti dirò, le ho provate e sono piacevoli. E soprattutto hanno dato un’opportunità in più a tutte quelle persone in là con gli anni che altrimenti sarebbero state sul divano.

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