“Tremare senza paura“ è il nome del viaggio concluso pochi giorni fa da Paolo Muzi, romano, classe 1961, affetto da Parkinson dal 2017. In pensione da quest’anno, Paolo si è cimentato per 1.000 km lungo la Via Francigena, dal Colle del Gran San Bernardo, al confine con la Svizzera, fino alla sua Roma. E’ stato anche un percorso alla scoperta dei benefici dell’attività fisica per chi soffre di Parkinson: una patologia che colpisce circa 600 mila persone in Italia.
Paolo, innanzitutto complimenti per il viaggio portato a termine. Come è nata l’idea di questo bike tour?
“Tremare senza paura” è una frase nata tra una battuta e l’altra. Inizialmente volevo che fosse un progetto di carattere umanitario per una raccolta fondi da devolvere a qualche associazione o fondazione di ricerca. Pensavo a trovare qualche personaggio noto che potesse fare da testimonial ma, non avendo alcun aggancio, la cosa non si è concretizzata.
E poi?
Ne ho parlato con la mia neurologa che si è dimostrata entusiasta e mi ha consigliato di sentire la Fondazione Limpe, dalla quale ho avuto il patrocinio. Per cui con loro abbiamo pensato a come rimodulare il tutto considerando che avrei dovuto farla a mie spese.
E la bici quando è entrata nel progetto?
Da maggio sono in pensione e, poiché sono circa 15 anni che vado in bici, volevo regalarmi un viaggio in sella. Per cui ho collegato questo desiderio al progetto “Tremare senza paura”.
La diagnosi del Parkinson ha frenato la tua attività in bici? Che pareri ti davano i medici?
In realtà dopo la diagnosi del 2017 ho aumentato l’attività sportiva, andando anche in palestra e facendo uscite più lunghe. Generalmente i vari neurologi mi davano il consiglio del buon padre dicendomi di non esagerare. Ma poiché ho fatto quasi sempre di testa mia, ho portato le uscite in bici anche sopra le cinque ore.
Veniamo al viaggio di quest’estate. Quando sei partito?
Il 6 settembre, esattamente dal confine con la Svizzera. Ho percorso l’itinerario della Via Francigena. Fino a Lucca ho seguito la traccia per le bici, poi da lì in poi ho proseguito sulla traccia per i camminatori.
Come mai?
Conoscevo la zona e mi sembrava più bella quest’alternativa. Certo, era più pesante, con sterrati più sconnessi e tratti da fare a spinta. Ma ho visto che le energie c’erano…
Logisticamente come ti sei organizzato? Dormivi in strutture prenotate giorno per giorno?
Mia moglie da casa si metteva alla ricerca degli ostelli, quando la chiamavo per dirle dove più o meno avrei finito la tappa. Ho dormito quasi sempre in ostello.
Avevi una mountain bike con bagaglio leggero dunque?
Dieci chili di bagaglio.
Cosa ti sei portato a casa da questo viaggio?
A dire la verità il viaggio in sé non era la cosa principale. A me interessava far capire come l’attività fisica sia benefica per chi è affetto da Parkinson. Perciò quando giorno dopo giorno i miei figli da casa mi dicevano che le visualizzazioni dei post aumentavano, mi sono detto che ero sulla buona strada. Poi sono arrivati gli articoli sui giornali e siti di informazione, messaggi da altri malati di Parkinson o associazioni e il viaggio è andato in secondo piano. Anche se i paesaggi e gli incontri con le persone sono sempre stati piacevoli.
Ne ricordi uno in particolare?
Sì, la sera prima della partenza dal Gran San Bernardo ho soggiornato all’Albergo Italia, a 50 metri dal confine con la Svizzera. C’era questa ragazza gentilissima che era la figlia del titolare al quale ho raccontato il progetto di “Tremare senza paura”. Le ho anche fatto vedere una delle locandine che mi ero portato da lasciare in giro. La mattina successiva quando sono andato a pagare mi ha detto: «Guardi, il pernottamento gliel’offriamo noi…». La cosa mi ha commosso e mi ha fatto capire che la gente ci credeva davvero.
Una bella spinta per partire…
Sì, mi sono anche detto: «Stiamo facendo sul serio» e mi sono promesso di portare il viaggio a termine. Non potevo rischiare di non arrivare. Sono partito piangendo. E’ anche vero che sono una persona emotiva e che il Parkinson ha acuito questa cosa, però mi sono spesso trovato a piangere. Quando ascoltavo la mia playlist davanti a certi paesaggi. Quando al mattino salutavo le persone incontrate in ostello. Quando mia figlia mi diceva: «Papà, papà ci ha pubblicato l’Ansa!»…
C’è stato qualche momento di difficoltà?
Due giorni prima della partenza ero caduto con la moto, per cui sono partito con un piccolo strappo al bicipite femorale. Dopo alcuni giorni ho avuto problemi al soprassella però ero talmente convinto… che mi doveva prende un infarto (sorride, ndr), sennò non mi sarei fermato nemmeno a cannonate. La dovevo portare a termine, a costo di arrivare a Roma con la bici in spalla. Per cui i primi giorni pedalavo con una gamba e mezza e per l’irritazione al soprassella ho indossato un secondo paio di pantaloncini.
Il punto di vista medico
Paolo ha concluso il viaggio in 15 giorni, persino in anticipo di qualche giorno sulla tabella di marcia. Noi gli abbiamo chiesto il contatto della sua neurologa che gli ha dato il nulla osta a partire, la dottoressa Laura Vacca dell’IRCCS San Raffaele di Roma, per avere un punto di vista scientifico su tutta la storia.
Dottoressa, cosa ha pensato quando Paolo le ha detto dell’idea del viaggio?
Che sarei voluta partire con lui! Mi è subito piaciuta l’idea di portare il Parkinson fuori dall’ospedale. Il Parkinson non è l’idea iconoclastica che abbiamo tutti con l’anziano che trema, ma è fatto anche di storie come quella di Paolo.
Ci sono controindicazioni nel praticare ciclismo per chi è affetto da questa malattia?
Anche se la pratica ciclistica non viene indicata come aspetto riabilitativo, più che altro perché devi essere già un appassionato per effettuarla, il Parkinson non inficia la mobilità in bicicletta. Non ci sono controindicazioni specifiche o particolari precauzioni da tenere. Anche se ovviamente dipende da paziente a paziente.
E invece ci sono dei benefici?
Il Parkinson si presenta quando nel cervello diminuiscono sotto una certa soglia i livelli di dopamina. Poiché questo calo si inizia a manifestare in uno dei due emisferi cerebrali, esso fa lavorare gli emilati corporei in maniera asimmetrica. E’ così che spesso ci si accorge, ad esempio, che un arto è meno mobile dell’altro. Il ciclismo essendo uno sport simmetrico aiuta a controbilanciare l’asimmetria dovuta alla malattia. E poi l’apertura mentale che ti dà il ciclismo poche attività le danno. Paolo ha fatto venire la voglia di andare in bici anche a me, anche se uso la e-bike. A livello terapeutico può essere un supporto, mentre se parliamo a livello fisioterapico bisogna vedere caso per caso. Ovviamente come tutte le attività all’aria aperta fa bene perché incide sui fattori infiammatori delle malattie neurodegenerative.