Già approvato alla Camera, il nuovo Codice della Strada in questi giorni è in Senato. Fortemente voluto dal Ministro dei trasporti Matteo Salvini, il nuovo testo appare tuttavia molto discosto dalle normative che guidano i Paesi europei più virtuosi.
Marco Scarponi – con la sua Fondazione Michele Scarponi che finanzia battaglie e progetti in favore dell’educazione stradale – è in prima linea nell’affermare che questa riforma riporta indietro l’Italia di anni, in fatto di mobilità sostenibile.
«E’ chiaro che la riforma non ci piace», conferma. «Queste normative allontanano il nostro Paese dal resto d’Europa. Annulla la speranza di migliorare il nostro 23esimo posto nella classifica dei Paesi con le strade più sicure, con un tasso di mortalità altissimo».
Seppur il tema sia incredibilmente complesso da affrontare, abbiamo chiesto a Marco un’opinione su questo nuovo Codice e sui tre punti più allarmanti che dovrebbero essere rivisti in modo completamente diverso.
Non si combatte la velocità
Come causa prima di tutti gli incidenti stradali, la velocità dovrebbe essere uno dei punti cardine sul quale far ruotare tutte le riflessioni e, di conseguenza, le normative. Questa dunque la prima manchevolezza del nuovo codice, come spiega Marco:
«Di sicuro i provvedimenti contro chi fa uso di cellulari, alcolici e stupefacenti sono importanti. Ma le cose positive sono veramente minime rispetto al resto. Le pene bisogna aumentarle, ma continuiamo ad essere un Paese che fa pochi controlli. Con questo Codice i ciclisti vengono presi in giro, la velocità non viene contrastata o limitata, piuttosto difesa».
Addio mobilità sostenibile
Come sottolinea Scarponi, nel nuovo Codice la mobilità sostenibile appare totalmente inesistente. Il tema così caro alle città del futuro e al loro sviluppo green è accantonato in diciture generiche e facilmente interpretabili.
«Per esempio, in Spagna, la legge del metro e mezzo è stata addirittura allargata a due. Qui invece, nel codice, leggiamo frasi come “sorpassare ove la strada lo consenta”. Come si può pensare di cambiare le cose in questo modo?».
La burocrazia contro mezzi salvavite
«La battaglia del ministro Salvini contro gli autovelox è ben nota. I cittadini sono spesso convinti che queste siano normative a beneficio del Comune, attuate per fare cassa, ma non è così. L’autovelox è uno strumento che salva le vite e il limite di velocità nelle grandi città contribuisce alla mobilità sostenibile. Aiuta a muoversi in bicicletta con molti meno rischi».
E’ stato appurato che in altri Paesi europei, i velox hanno contribuito non poco a diminuire il tasso di incidenti sulle strade. Con queste novità, in Italia i sindaci saranno sempre meno propensi a collocarli all’interno dei loro Comuni. La burocrazia per l’installazione infatti, si è notevolmente infittita e i primi cittadini non hanno praticamente più autonomia in questo tipo di scelta.
«Se passerà questa riforma – aggiunge – sarà inoltre più difficile installare autovelox anche nelle strade sotto i 50 chilometri orari. Questo conferma come l’Italia sia ancora un Paese fortemente auto-centrico».
La battaglia di cittadini e associazioni
«E’ difficile far prendere posizioni alla gente su questi tempi», conclude Marco. «La cosa che mi ha piacevolmente sorpreso in questi mesi è il fatto che si siano mobilitati tantissimi enti e persone per dire no a questi provvedimenti assurdi. Cittadini, ciclisti, FIAB, Associazione Italiana Vittime della Strada, Legambiente. Siamo tutti uniti e vogliamo farci ascoltare. Abbiamo fatto circa 20.000 telefonate in Parlamento con le nostre motivazioni. I familiari che hanno perso i loro cari sulla strada hanno girato dei video affinché coloro che hanno poteri decisionali possano comprendere la gravità di far passare delle leggi del genere».
Se i provvedimenti politici evidenziano quanto ancora ci sia da lavorare in merito alla sicurezza e alla consapevolezza, dall’altra parte la coscienza collettiva sembra avere un cambio di rotta. In Italia i cittadini cominciano a sensibilizzarsi e a comprendere che la strada dovrebbe essere uno strumento condiviso a misura di persona, con le migliori garanzie per gli utenti più deboli – bambini, ciclisti. Questo è il messaggio: cambiare insieme e, su questo, le istituzioni sono chiamate a fare la loro parte.