| 4 Agosto 2025

EDITORIALE / I giovani europei chiedono città più sicure

E’ sempre positivo quando aziende di peso si spendono per la mobilità ciclabile e la sua sicurezza. E’ il caso di Decathlon che, forte del suo carattere multinazionale, a cavallo di maggio e giugno ha commissionato un sondaggio sui giovani europei e la mobilità urbana (in apertura, foto Platum). Sono stati interpellati 4.094 ragazzi e ragazze di età compresa tra i 18 ed i 28 anni (la cosiddetta Generazione Z), nei paesi di Francia, Regno Unito, Germania, Italia, Polonia e Spagna. Il quadro che se ne delinea collima col sentire comune, anzi, forse è anche più promettente per certi versi nel vedere il bicchiere mezzo pieno.

Il sondaggio si è rivolto a giovani europei tra i 18 ed i 28 anni (foto Decathlon)
Il sondaggio si è rivolto a giovani europei tra i 18 ed i 28 anni (foto Decathlon)

Si parte sempre dai dati

Qualche dato su cui ragionare. Montare in sella è un’abitudine settimanale in Germania (66%) e Polonia (62%). In Italia solo il 54% dei giovani intervistati usa la bici una volta a settimana, poco più della Francia che chiude la classifica col 52%.

I principali motivi che spingono a usare la bici sono: rimanere in forma e in salute (79% del totale del campione e 77% in Italia). Gustarsi la libertà e il piacere che la bici offre (68% in Europa e 70% in Italia). Risparmiare tempo ed evitare il traffico (68% e 73%), Risparmiare denaro rispetto ad altre opzioni di trasporto (67% in entrambi i casi). 

La ricerca di Decathlon asserisce che “se si parla di come i giovani europei usano la bici, le differenze culturali si fanno sentire. In Francia e Germania, pedalare è strettamente considerato uno sport o un mezzo per allenarsi. In Italia e Polonia, è più comunemente associato allo svago e al tempo libero”. Dunque il report parla di “differenze culturali”. Ma si tratta solo (o principalmente) di questo? 

Motivazioni, preoccupazioni, soluzioni. I dati del sondaggio rendono il pensiero dei giovani europei in fatto di mobilità urbana
Motivazioni, preoccupazioni, soluzioni. I dati del sondaggio rendono il pensiero dei giovani europei in fatto di mobilità urbana

Sicurezza percepita? Poca…

Per rispondere a tale domanda si può continuare a leggere tra le righe ciò che i dati, incontrovertibili, restituiscono. La bicicletta, infatti, rimane un mezzo preferito per il tempo libero (60%) e lo sport (45%), ma non per andare a scuola, al lavoro o sbrigare commissioni. Solo il 16% dei giovani europei prende la bici tutti i giorni. Con ciò si dimostra che il passaggio a una piena mobilità ciclistica ha ancora bisogno di supporto. Niente di nuovo sotto il sole, si dirà. Ma questa affermazione è ancora più corroborata dal dato che il 61% dei giovani intervistati afferma di non sentirsi completamente sicuro quando sono in sella.

In Polonia e Spagna si registra una percezione della sicurezza maggiore (ricordiamo che dal 2021 Madrid impone il limite massimo dei 30 chilometri orari in tutti i centri urbani del paese ad eccezione delle strade a due o più corsie per senso di marcia). In Francia e Italia invece, una persona su cinque non si sente al sicuro mentre pedala. Per quanto concerne il nostro Paese, il motivo si può facilmente intuire. Comportamento rischioso di automobilisti o altri utenti della strada (64%), mancanza di piste ciclabili dedicate (63%) e traffico eccessivo (42%). Tutti aspetti che rientrano nella gestione della moderazione del traffico autoveicolare. E la tragedia di ieri accaduta a Terlizzi, in Puglia, con tre ciclisti uccisi sulla SP 231, restituisce purtroppo l’ennesima rappresentazione di dolore a questi numeri…

Gli stessi intervistati, poi, provano a fornire le soluzioni. Più piste ciclabili protette e separate (54% ma ben 63% nel nostro paese). Parcheggi sicuri per bici (43% sia in Europa che in Italia). Segnaletica e mappe migliori per le biciclette (36% in Europa e 37% da noi).

Sull’uso quotidiano della bici si evidenziano le differenze tra i Paesi più sensibili alle tematiche e quelli… più indietro (foto Extragiro)
Sull’uso quotidiano della bici si evidenziano le differenze tra i Paesi più sensibili alle tematiche e quelli… più indietro (foto Extragiro)

Le responsabilità di chi governa

Il dato del 63% relativo alla richiesta di piste ciclabili da parte della Gen Z dello Stivale ci ha fatto venire in mente la chiacchierata fatta qualche giorno fa con l’architetto Matteo Dondé. Si disquisiva a proposito dell’impegno del mondo accademico sulle tematiche di mobilità attiva e della Grecia. La quale ha di recente applicato sostanzialmente la stessa normativa spagnola sul limite dei 30 km/h.

«Ogni volta che nei miei convegni ero davanti ai cittadini – ci aveva detto testualmente – e citavo l’esempio del Nord Europa, da sempre mi sentivo dire: ma loro sono diversi, da noi non si può fare, eccetera. Ora faccio notare che di tre paesi mediterranei, due (Spagna e Grecia, appunto, ndr) hanno fatto una legge nazionale che impone i 30 all’ora in tutte le città, in tutte le strade urbane. Tranne noi». 

In merito alla richiesta, seppur più che comprensibile, di maggiori piste ciclabili protette e separate, lo stesso Dondè ci aveva spiegato come in Olanda (Paese che, occorre sottolineare, non rientra nel sondaggio così come altri esempi virtuosi quali Belgio e Danimarca) le autorità stessero in parte smantellando le infrastrutture ciclabili. In una zona 30, infatti, non c’è più bisogno di separare i flussi. Ovviamente deve essere una vera zona 30, dove non basta un cartello. Occorre una progettazione dall’alto dello spazio urbano che impedisca fisicamente alle auto di superare quel limite, restituendo metri quadrati vivibili a pedoni e ciclisti.

Per cui chiediamoci: se Decathlon rifacesse lo stesso sondaggio fra 10 anni e, magicamente, le percentuali di sicurezza percepita da chi va in bici fossero nettamente più alte, ciò dipenderebbe da mutati fattori culturali dei cittadini oppure dalla ferma volontà di un governo che si prendesse la briga di rivoluzionare la viabilità urbana in chiave di moderazione del traffico? 

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