Non è un caso se molti bike hotel italiani si ispirano all’esperienza e al lavoro gestionale dell’Hotel Dory di Riccione. La struttura romagnola è considerata la decana di questa particolare fetta di mercato e per capire come è diventata un riferimento bisogna ripercorrere la sua storia. Il racconto di Stefano Giuliodori è come un romanzo da leggere tutto d’un fiato, perché testimonianza di passione, ardimento professionale e anche un pizzico di follia, un mix che porta sempre a grandi risultati.
«La nostra è sempre stata una struttura a gestione familiare – racconta – io mi sono ritrovato a raccogliere le redini dell’hotel da mio padre nel 1993. Allora la stagione turistica era legata a doppio filo con quella balneare, ma io sentivo che si poteva fare qualcosa di più, che c’erano tutte le possibilità per allargare il periodo di apertura, il bacino d’utenza. Ne parlai con il mio consulente Mauro Santinato che mi suggerì di andare all’Itb di Berlino.
«È la più grande fiera internazionale del turismo e inizialmente mi sentivo un po’ come un pesce fuor d’acqua, ma capii che dovevo rendere produttiva la mia presenza. Girai per i vari stand e mi accorsi che c’era una grande fetta di mercato, quella dedicata ai turisti in bicicletta, alla quale gli albergatori si rivolgevano, ma che in Italia era ancora un oggetto sconosciuto».
Pedalare per guadagnare
Qualche hotel che accoglieva ciclisti c’era, il Wonderful Hotel di Cesenatico ad esempio o l’Hotel Massavecchia di Massa Marittima, ma non erano strutturati.
«Invece, parlando con strutture estere come l’Hotel Schlicker di Monaco – prosegue – ho capito che bisognava orientarsi verso questo mondo inesplorato. Ma come farlo? Ho imparato sulla mia pelle che per entrare in questo mondo se si vuole guadagnare non basta la passione: bisogna cominciare a pedalare. Ho convinto mia moglie a fare una settimana di vacanza in Austria portandoci le bici. Abbiamo fatto i cicloturisti in piena regola e intanto guardavo e mi accorgevo che i cicloturisti leggono le riviste di settore, partecipano alle fiere, s’interessano. Avevo materiale per ragionare».
Tornato a casa, Giuliodori richiama il mio consulente: «Mauro – gli dice – noi dobbiamo ampliare il periodo di apertura, mettere in luce le bellezze della nostra terra richiamando i cicloturisti».
«Stefano – gli risponde l’altro – devi andare alla fiera più importante, l’Eurobike di Friedrichshafen, ma questa volta prendi uno stand e vendi».
«Che cosa?».
«La tua terra, la Romagna».
Un depliant quasi inventato
«Ero più che motivato. Caricai la macchina di prodotti del territorio – prosegue Giuliodori – un po’ di cartine sui pochi itinerari ciclistici che c’erano all’epoca, immagini. M’inventai di sana pianta un depliant. Feci qualche foto all’hotel e ci misi davanti un gruppo ciclistico della zona, poi trovai un vecchio percorso ciclistico verso Urbino e lo aggiunsi. Poi chiamai un postino del luogo con un bel paio di baffi che lo rendevano subito simpatico, lo vestii da ciclista e lo spacciai per nostra guida. Era tutto un po’ un bluff, ma serviva allo scopo».
A Friedrichshafen tanti si avvicinano, guardano, parlano tra loro, se ne vanno. Giuliodori è un po’ abbattuto, poi al giorno di chiusura si avvicinano due ciclisti di Lugano: «Bellissimo. gli dicono – volevamo da tempo venire a vedere la Romagna. Siamo da voi martedì».
«Bene, vi aspettiamo».
In realtà, non sa se essere contento o disperato: dato che ha solo poche ore a disposizione per reinventare l’hotel.
Quei panini fatti sparire…
Tornato a casa, trova un garage in disuso a fianco dell’hotel. Se lo fa prestare e in poco tempo lo libera da tutto il suo contenuto. Lo imbiancano, ci mettono due bici, qualche poster ciclistico. Poi chiama il postino e gli dice che dovrà portare in giro questi due turisti in bici.
«Insomma – sorride – al loro arrivo al martedì pomeriggio era tutto pronto. Per quel che poteva esserlo. Io li osservavo attentamente. Il primo giorno mi accorsi che a colazione avevano “rubacchiato” panini con prosciutto e formaggio e banane: il giorno dopo gliene feci trovare in quantità. Quando tornarono dalla prima escursione il ristorante era ormai chiuso: mi accordai con lo chef per tenerlo aperto fino alle 15 e far comunque trovare a chi veniva dopo almeno un piatto di pasta in bianco da scaldare, salumi e formaggi, qualche crostata. Mi sarei accorto di lì a poco che questa era l’Abc del bike hotel. Insomma imparavo da loro. Il risultato fu oltre le aspettative: l’anno dopo tornarono, ma con venti amici…».
Nasce l’Italy Bike Hotels
«L’anno dopo feci grandi investimenti sulle riviste di settore – riprende – soprattutto tedesche. I cicloturisti arrivavano, noi intanto cominciavamo a dotare l’hotel di tutte le strutture necessarie. Ma se lavori da solo non vai oltre certi limiti e a me i limiti piace superarli. Decisi che dovevo farmi affiancare in quest’impresa da altre strutture, così nacque il Riccione Bike Hotels, un’associazione con 14 alberghi della zona. A Riccione stava nascendo un nuovo fenomeno, un turismo slegato dalle spiagge. Era intanto stata promulgata la Legge 27 dalla Provincia di Rimini, che diceva che a fronte di 50 milioni di lire d’investimento ne erogavano altrettanti. Convinsi gli altri hotel a mettere 5 milioni ognuno e con il raddoppio investimmo in tutte le fiere.
«I numeri si moltiplicavano. Era il momento di pensare a livello nazionale e così inventai l’Italy Bike Hotels. Facevamo corsi di formazione, per spiegare agli albergatori come ristrutturare i loro stabili e che cosa offrire ai cicloturisti. Con il consorzio avevamo oltre 200 milioni da investire e allora allargammo i confini. Andammo a Las Vegas, (ricordo che c’era Fondriest con me), in Canada, Brasile, Israele, Giappone, abbiamo girato il mondo e il mondo è venuto da noi. Ora ci sono oltre 80 bike hotel consociati, io sono rimasto come presidente onorario. Ho 65 anni e vorrei andare a pescare vongole come i miei coetanei, ma poi la passione e la voglia di pedalare mi tengono ancora qui».
I cambiamenti in atto
«Nel racconto ho forse trascurato qualcosa: l’Hotel Dory, che è molto cambiato in questi trent’anni. Ora abbiamo ad esempio un deposito bici che io considero una “boutique delle due ruote”, con luci speciali, insonorizzazione, immagini, display e soprattutto 180 bici a noleggio forniteci dalla Scott, di tutte le tipologie. Abbiamo investito molto nell’officina meccanica tanto che ci sono due esperti sempre a disposizione. Poi un’enorme Spa e tanto altro».
Il cicloturismo è cambiato dopo il covid. Prima i ciclisti raggiungevano la Romagna per allenarsi e facevano 100-120 chilometri: ora ne fanno 40-60, ma per visitare e vedere davvero quel che li circonda. Sono quindi cambiate anche le guide, che devono conoscere il territorio e saperlo raccontare, non solo a parole, ma facendo provare emozioni, che sono un quadro da vedere o un sorso di vino da assaggiare.
«Vedo che i tour operator qui nascono come funghi – chiude – ma bisogna anche saper seguire il mercato e saper vendere il prodotto. La regola è sempre quella, se vuoi guadagnare, comincia a pedalare…».