Wunderkammer l’avrebbero chiamata qualche secolo fa – in italiano, camera delle meraviglie – quella che è stata per anni la ciclofficina in cui Luciano Berruti aveva riunito straordinari oggetti dalle infinite storie passate. Ora questo luogo, che racchiude la più intensa eredità tramandata al mondo dall’icona del ciclismo eroico, rivive nella sua amata Gaiole in Chianti, aprendo quel magico passaggio che unisce l’oggi a ieri.
La soglia del tempo
E’ il figlio Jacek a raccontare la genesi di questo incredibile angolo creato dal padre, dove il passato torna intatto come in una sfera di vetro, avvolgendo chiunque abbia avuto – o avrà – la possibilità di entrarci.
«Tutto è cominciato – spiega – quando mio padre ha avuto l’idea di allestire un angolo del garage di casa con materiali pluricentenari per ricreare un ambiente di fine Ottocento. Potremmo chiamarla una ciclofficina per le bici, ma sarebbe riduttivo. Al suo interno, per esempio, c’erano anche antichi utensili per maniscalchi e falegnami».
Un ambiente unico
Quello che inizia quasi per caso diventa una vera e propria passione. Con il supporto della moglie Zofia, Luciano decide di ampliarla e arrivare ad una metratura di circa 40 metri quadri. La ciclofficina diventa dunque lo scenario per le sue interviste, un ambiente unico e dall’acustica straordinaria – grazie al legno antichissimo – che riflette la sua personalità e lascia gli ospiti letteralmente a bocca aperta.
«Gli oggetti al suo interno – continua Jacek – sono tutti completamente originali. Si accedeva a questo spazio tramite una porta molto antica, tra l’altro originaria di Gaiole in Chianti. Era come entrare in una realtà parallela, dal 2020 passavi direttamente al 1820, facendo un salto nel tempo in un solo passo».
Un regalo per Eroica
Custode del museo della Bicicletta di Cosseria, Luciano Berruti aveva sempre tenuto la ciclofficina semi privata. Offriva la visita a questo luogo unico, a seconda del coinvolgimento dei visitatori del suo museo. I più appassionati potevano sicuramente contare su questo straordinario plus: lui li accompagnava a casa sua e apriva loro le porte del tempo.
La volontà di traslocare nasce dalla moglie di Luciano. In accordo con i figli e consapevole del grande valore dell’eredità del marito, Zofia ha voluto donare questo patrimonio per intero al comune di Gaiole in Chianti. Qui la ciclofficina è stata collocata all’interno di Chianti Origo, in cui si valorizzano il territorio e le potenzialità del ciclismo eroico.
«Abbiamo ricevuto molte offerte per l’acquisto degli oggetti contenuti dentro questa capsula del tempo – racconta Jacek – ma la mia famiglia ha sempre fatto tutto senza scopo di lucro. Era un bene privato, ma non aveva senso tenerlo solo per noi. Mia madre voleva che tutto il loro lavoro di ricerca dietro la costruzione di quello spazio non andasse perduto. Perciò abbiamo pensato che fosse giusto ed estremamente significativo donarlo a Gaiole, il paese in cui Luciano Berruti è nato, dal punto di vista ciclistico.
«Lui era molto legato a questi luoghi dove, durante l’anno, c’è un cospicuo passaggio di ciclisti. Ora tutti loro potranno godere della possibilità di visitarlo, di farci un viaggio, come molti altri prima di loro».
Un modo per riallacciare un legame, insomma, continuare a far vivere il mito ancora per tutti gli anni a venire e far sì che le persone conoscano il ciclista eroico nelle sue sfumature più intime, di autentico appassionato.
Il viaggio per Gaiole
La vera impresa di tutta questa vicenda potrebbe sembrare quella dello spostamento fisico di questo luogo favolistico verso la sua nuova e reale destinazione. Traghettare qualcosa come tremila pezzi per più di 300 chilometri e riposizionarli nello stesso identico modo è qualcosa di impressionante agli occhi di un essere umano qualunque. Non di certo per Opera Laboratori – fortunatamente partner di Eroica – che è abituata a maneggiare opere museali di immenso valore, quadri, sculture e tutto ciò che richiede estrema delicatezza e professionalità.
Parlando di numeri, nell’arco di tre giorni la ciclofficina è stata smontata e ricostruita e ci è voluto chiaramente un giorno intero di minuzioso lavoro per catalogare e fotografare tutti gli oggetti presenti al suo interno, con l’obiettivo di riprodurre l’ambiente fedelmente.
Un pezzo di cuore
Jacek dice che è piuttosto difficile scegliere la cosa più preziosa – a livello emotivo – di quell’officina. Ognuna ha una storia sua, ma ce ne sono almeno due che sono legate a certi ricordi che fanno ancora emozionare quando li si racconta.
«La prima – dice – è una scatolina di metallo. Mio papà ne aveva tantissime, contenevano la qualunque, ma ce n’era una che non ha mai aperto. Ogni volta che ne parlava, diceva che era sempre stata chiusa ed era così che doveva stare. Ancora oggi nessuno sa cosa ci sia dentro: è rimasta così e ognuno può lasciare spazio all’immaginazione».
La seconda è una pedivella, ma non una qualunque: un autentico manufatto che lasciava la possibilità di essere regolata su misura. Era dedicata alle persone che avevano una gamba molto più lunga dell’altra. Con questo aggeggio, si poteva adattare la pedalata e consentire loro di salire in bicicletta agevolmente.
«Questo oggetto mi ha sempre commosso – ha concluso Jacek – l’inclusività è un tema molto importante ai nostri giorni. Mi stupisce che già negli anni Venti potevano essere così delicati verso coloro che vivevano con un’invalidità. Questo oggetto stava lì sul bancone e mi ha sempre ricordato che la sensibilità è un dono che attraversa il tempo».