Namibia Givi 2025Namibia Givi 2025

| 29 Settembre 2025

Tra il deserto della Namibia, l’avventura di Alessandro e Alessandro

Il bello del cicloturismo è che può portare ovunque. In sella ad una bici si possono esplorare luoghi che la maggior parte di noi vede solo sulle mappe, o nei documentari. Per esempio si può anche attraversare la Namibia e il suo deserto del Namib, uno dei luoghi più affascinanti (e aridi) del mondo.

E’ il caso di Alessandro Sozzi, un trentaquattrenne lombardo che assieme all’amico Alessandro Crippa lo scorso agosto ha percorso la Namibia da sud a nord. 1.200 chilometri totali tra sabbia, dune e animali esotici in completa autosufficienza.

Il richiamo del deserto

I due amici sono atterrati il 3 agosto a Cape Town, in Sud Africa. Da lì hanno raggiunto il confine con la Namibia in bus, da dove è iniziata la vera avventura. Un’idea nata dalla voglia di scoprire paesaggi e climi diversi, come ci ha detto Sozzi: «Dopo essere già stato in Islanda e in Turchia volevo provare terreni e luoghi diversi e trovare anche un po’ di caldo. La Namibia è una terra che ho sempre voluto visitare, specialmente mi affascinava l’idea di attraversare un deserto, cioè una zona pochissimo frequentata».

Un desiderio che è stato perfettamente esaudito. Infatti in 1.200 chilometri non hanno incontrato nessun altro cicloviaggiatore e pochissimi turisti in generale, soltanto nell’ultima parte del percorso. Ma se il deserto è un luogo affascinante lo è anche per la sua ostilità, specie dove non ci sono strade asfaltate. I due Alessandro viaggiavano con delle gravel, ma il fondo stradale quasi sempre sabbioso ha reso le giornate lunghe e faticose, ancora a causa del peso delle biciclette, entrambe attorno ai 40 chili.

Namibia Givi 2025
L’escursione termica nel deserto è notevole, si passava dai 30 gradi durante il giorno ai 3 della notte (foto A. Sozzi)
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L’escursione termica nel deserto è notevole, si passava dai 30 gradi durante il giorno ai 3 della notte (foto A. Sozzi)

Tra difficoltà logistiche e (molti) animali

Questo perché per una traversata del genere la logistica è fondamentale, e si sono dovuti muovere in completa autonomia, sia alimentare che idrica. Il cibo l’hanno portato tutto da casa, liofilizzato, e portavano sempre con sé almeno 6 litri d’acqua a testa. «Ogni 2 o 3 giorni circa trovavamo un’area dove fare rifornimento» racconta ancora Sozzi. «Non dei villaggi veri e propri, dei piccoli negozietti dove però almeno trovavamo delle bottiglie di acqua potabile. Con il cibo eravamo coperti, ma questo non ci ha impedito di assaggiare qualcosa di locale, soprattutto carne essiccata, di struzzo o di orice».

E di animali selvatici ne hanno anche visti molti. Durante i 10 giorni di pedalata dal sud al nord della Namibia gli hanno attraversato la strada giraffe, struzzi, fenicotteri, facoceri, orici. Sulla costa incontrato le foche. Una convivenza che, anche vista la loro tipologia di viaggi in autosufficienza, necessitava di alcune accortezze. Per esempio si sono portati due tende, una a testa, un po’ per dormire più comodi viste le molte notti in programma, ma anche per poter metterci dentro tutta l’attrezzatura durante la notte. Continua Alessandro: «Era importante non lasciare fuori nulla alla mercè degli animali. Un giorno abbiamo incontrato degli italiani in jeep e ci hanno raccontato che nella notte i licaoni gli avevano mangiato le ciabatte che avevano lasciato fuori».

Namibia Givi 2025
I due amici erano equipaggiati con borse da cicloturismo tradizionali fornite da Givi (foto A. Sozzi)
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I due amici erano equipaggiati con borse da cicloturismo tradizionali fornite da Givi (foto A. Sozzi)

Borse “tradizionali”, per una meta conquistata giorno dopo giorno

Attraversare un deserto necessita infatti di un equipaggiamento particolare, diverso dal bikepacking a cui siamo ormai abituati. I due amici hanno scelto una soluzione più tradizionale, con il portapacchi posteriore a cui hanno agganciato le care vecchie borse laterali. Sozzi è da quest’anno ambassador di GIVI Bike, che gli ha fornito tutto il necessario per attraversare il Namib in (relativa) comodità.

Due borse da 20 litri al posteriore, una con il vestiario e una per il cibo, e un’altra centrale da 40 litri dove ha alloggiato sacco a pelo, drone ed altri accessori. La “zona notte” invece all’anteriore, con la tenda e il materassino nella borsa sotto il manubrio. Infine, fondamentale, l’acqua, che portavano dentro due borse da 5 litri l’una agganciate alle forcella.

Un viaggio che è durato in totale 20 giorni, di cui 10 di effettive pedalate, in cui ogni sera era un traguardo. Conclude Alessandro: «All’inizio avevamo un po’ di ansia per il poco tempo che avevamo a disposizione, sapevamo di dover macinare molti chilometri al giorno in condizioni non semplici. Per questo ogni volta che arrivavamo a fine tappa era una conquista , una piccola vittoria, un altro tassello che ci avvicinava alla meta. Paradossalmente il giorno più difficile è stato l’ultimo, quando la traccia indicava solo discesa. Invece la pendenza positiva era quasi impercettibile e abbiamo trovato un fortissimo vento in faccia, terribile. E’ stata la tappa più dura, estenuante. Ma quando poi siamo arrivati a Walvis Bay, sull’Oceano Atlantico, che era la nostra meta, è stata anche la più bella».

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