Nel nostro viaggio tra Albania e Grecia ci eravamo lasciati appena al di qua del confine ellenico. Siamo nell’Epiro e percorriamo la terza tappa in direzione di Ioannina. A Sagiada salutiamo lo Jonio e iniziamo a puntare verso le montagne. Prima affrontiamo alcuni chilometri sterrati in una vallata secondaria, dalla rigogliosa vegetazione mediterranea, ma purtroppo constatiamo che le strade bianche non sono battute come dalle nostre parti, anzi somigliano più a mulattiere su cui i sobbalzi sono accentuati dalle nostre borse.
Il viaggio prosegue
Dopo un’oretta troviamo lungo la strada un primo avamposto di civiltà greca: un bar in cui degli anziani si riparano all’ombra di un pergolato. Zeus sceglie di fare la sua prima apparizione nelle sembianze di un gatto che ci avvicina mentre mangiamo un panino. Meglio non scherzare con gli dei per cui un boccone glielo concediamo più che volentieri.
Inizia una salita di 6 chilometri al 7 per cento, che si fa sofferta per il caldo, ed in cima al valico passiamo tra due mucche messe lì apposta per darci un po’ di conforto. La discesa è molto aperta e panoramica e ci rendiamo conto di essere lontano dalle rotte turistiche, nella Grecia vera e aspra, fatta di sole e montagne arcigne che ti circondano. Ritroviamo presenze umane nel piccolo villaggio di Keramitsa, dove un bambino di non più di dieci anni è l’unico della famiglia che sa esprimersi in inglese e ci indica una fontanella che sarebbe stata fuori dalla nostra vista.
Direzione Ioannina
Arrivati a fondovalle ci prepariamo per la seconda ascesa prima di Ioannina. Sappiamo che dobbiamo correre perché il meteo promette pioggia, ma il caldo ci fa tirare i freni per rinfrescarci con un gelato lungo la strada. Ai tavolini del bar riecco… Zeus, stavolta con le sembianze di un anziano signore che porta sottobraccio una cesta di fichi. Saputo che siamo italiani e mosso a compassione, ci dà alcuni dei suoi frutti zuccherini, davvero provvidenziali perché la salita è lunga 10 chilometri e, anche se la pendenza si mantiene intorno al 5 per cento, la strada larghissima presenta lunghi rettilinei che ci abbattono il morale. Arrivati in cima con le ultime forze, facciamo appena in tempo a metterci la mantellina per entrare nella pioggia che ci accompagna fino a Ioannina.
A cena, Dimitri, il cameriere che ci serve feta e tzatziki, ha la passione per la bici e culla il sogno di venire a pedalare sulle nostre Dolomiti, lavoro permettendo. «Domani arrivate a Metsovo? Beh, non è proprio come le Alpi ma ci somiglia». Ci saluta a fine pasto.
Salite da sudare
Il giorno dopo infatti si sale ancora, di nuovo con una doppia salita. La prima inizia subito dopo Ioannina, dominando il vasto lago su cui sorge la città. Ci supera un cicloamatore locale, Steve, che arrampica come un camoscio tanto è leggero rispetto a noi. Ci stacca, torna indietro, ci incita e riparte, così due-tre volte per tutta l’ascesa. Anche lui, in cima, ci porta ad una fontanella nascosta da una chiesa ortodossa e ci mette in guardia sulla salita successiva: «Dieci chilometri prima di Metsovo ci sono tre cani liberi che attaccano. Pedalate uniti!».
E così facciamo. Arrivati al punto “x” i cani ci individuano già svariate centinaia di metri prima, sulla costa della montagna. Noi ci mettiamo in parata ad occupare la carreggiata e quando il capobranco sbuca dal guardrail per inseguirci, l’unica cosa che perdiamo è una bella di dose di adrenalina…
Ospitalità greca
Metsovo ricorda effettivamente il paesaggio alpino. Si trova a 1.000 metri di quota, tra i monti della catena del Pindo, ricca di verdi abeti e faggi, ed è una località turistica con case in legno e tetti di piastrelle.
Il piccolo appartamento ce lo consegna un giovane ragazzo del posto, ma pochi minuti dopo qualcuno bussa alla porta. Apriamo e un signore ci offre un piatto con una fetta di cocomero, albicocche e pesche. Non parla inglese ma basta un sorriso per intenderci.
A cena, poi, mettiamo in imbarazzo la cameriera ordinando così tante portate che non c’è più spazio sul tavolo ma, contro le sue previsioni, non lasciamo nulla.
Fine dell’avventura
L’ultima tappa va da Metsovo a Kalambaka, fine del nostro tour. I primi 10 chilometri sono su di una salita dagli scenari che ricordano molto i nostri Appennini, quindi entriamo in Tessaglia con una discesa senza anima viva e ancora dolce falsopiano a scendere fino ad ammirare le falesie di arenaria, un tempo sommerse dalle acque, su cui ora i monasteri ortodossi delle Meteore. L’etimologia del nome significa letteralmente “in mezzo all’aria” e ci sembra proprio un bel modo per concludere la nostra avventura in bici.