«Vivono nel niente – dice Paolo Bettini, oro olimpico di ciclismo ad Atene 2004 e fresco reduce da un viaggio in Marocco – vivono in case di fango, non hanno il minimo di comfort. Vivono in mezzo alla polvere, perché non hanno l’asfalto. Non hanno l’impianto idrico che ti porta l’acqua a casa, devono andare con la tanica al pozzo che, se va bene, è a due chilometri dal villaggio. Si lavano nel fiume, se ce l’hanno, altrimenti si lavano con le taniche. Eppure quando ti vengono incontro, sono i ragazzi più felici del mondo.
«E allora ti fai qualche domanda. Noi viviamo nel tutto, nel consumismo più totale e non siamo felici. Sempre incazzati, sempre nervosi, sempre a rincorrere. Entrambe le volte che sono stato in Marocco, lontano dalla città, vivendo nei bivacchi, fra le dune e il deserto, in questi paesini veramente sperduti nel nulla al confine con l’Algeria, sono tornato con la stessa domanda. Perché dobbiamo essere sempre tanto incazzati?».
Bettini dice tutto d’un fiato. E’ stato in Marocco con la compagna Marianella e le loro gravel, aggregati al gruppo messo insieme da Bike Division. Quello di Andrea Tonti è probabilmente il primo esperimento di viaggio esperienziale nel deserto del Marocco e, a sentire Bettini, è riuscito alla grande. La bravura di Tonti è aver messo a punto una formula efficace e vera, lontana dallo stereotipo di viaggio per cicloturisti che si fingono corridori. Il gravel è avventura e scoperta: il Marocco è la meta perfetta.


Il sogno della Dakar
Si deve tutto all’amicizia fra Bettini e Tonti, sviluppata in anni di corse fianco a fianco, quando Paolo era il capitano e Andrea uno dei gregari più fidati. Le Classiche del Nord, il Giro d’Italia, i lunghi ritiri. Quei lunghi giorni a pedalare e parlare non si cancellano quando finisce la carriera. Per questo, tornato dal primo viaggio in Marocco, Bettini pensò subito all’amico.
«Ero stato giù a novembre 2022 – riprende Bettini – per la malsana idea di fare una Parigi-Dakar. Una casa mi aveva dato una macchina da provare sul vecchio percorso della gara, ma di colpo mi resi conto che quelle tracce sarebbero state perfette per le gravel. Perciò, quando sono rientrato, ho condiviso questo pensiero con Andrea che a distanza di tre anni l’ha reso realtà. Ha fatto tutti i tipi di sopralluogo, ha lavorato tanto. Uso un termine “giovanottiano”: è una figata.
«Le esperienze possibili sono due. Una fisso a Marrakesh – va avanti Bettini – con delle uscite a margherita e tutte le sere rientri al solito hotel. E poi c’è il tour itinerante. Considerate che le distanze sono immense, tratte che in macchina si fanno in tre ore. Ma Andrea è stato capace di calarci la bicicletta con i giusti transfer e ne è uscita fuori l’essenza del Marocco. Ancora una volta la bicicletta vince. Io l’ho fatta anche in macchina, facevo 400 chilometri al giorno, però si andava senza godersi appieno le situazioni. La bicicletta invece rimane il mezzo di trasporto più umano e ti fa entrare ancora meglio nel territorio».


Il senso dell’esperienza
La definizione di esperienza parla di conoscenza diretta, acquisita sperimentando e vivendo una realtà in prima persona. Non c’è paragone tra compiere un simile viaggio dai sedili di un pulmino o farlo in bicicletta. Puoi abbassare il finestrino e fare delle foto, ma non avrai respirato l’aria secca del deserto e sentito lo scricchiolare della sabbia sotto le ruote.
«La prima pedalata è iniziata dopo tre ore e mezzo di trasporto – racconta Bettini – punto di partenza in mezzo al deserto, dietro agli Studios Atlas in cui hanno girato tutti i più grandi colossal, dal Gladiatore al Gioiello del Nilo. Da quelle parti c’è ancora un fortino costruito chissà per quale film dell’epoca romana e Andrea ci ha fatto trovare il pranzo sotto delle tende per ripararci dal sole. C’era il cuoco con i suoi fornellini a gas e abbiamo pranzato in mezzo al deserto.
«Da lì siamo partiti e ci siamo fatti 46 chilometri. Uno dice: vabbè 46 chilometri… Ma 46 chilometri fatti con le gravel, in quel tipo di territorio e di terreno, sono uscite 4 ore di viaggio. Perché vai a 10 all’ora, su sabbia, ghiaia, passaggi difficili. Salite anche al 18-20 per cento, perché il Marocco non è piatto, ci sono delle grandi montagne. E questo è stato il primo giorno, al termine del quale abbiamo vissuto la serata in una kashbah con la cena marocchina. Ogni giorno c’è stato qualcosa di diverso da scoprire».


Destinazione Marocco
Non è stato come andare alle Canarie, seguendo la serpentina delle strade costiere o delle salite fino a Masca e poi verso il Teide rincorrendo le ruote e le ombre dei professionisti che da quelle parti preparano le loro vittorie. Eppure il Marocco ha dato ai suoi scopritori una profondità che lo stesso Bettini non credeva possibile.
«Le Canarie rimarranno un luogo culto per l’amante della strada – dice – perché vai laggiù soprattutto per allenarti d’inverno. Ma sono convinto che nei prossimi cinque anni, il Marocco esploderà a livello di gravel esperienziale, di viaggio. Sei a tre ore di viaggio, quindi ancora più vicino delle Canarie. Arrivi a Marrakesh e già quello è un’esperienza che vale il biglietto. La prima volta c’ero arrivato di notte e non mi ero reso conto di niente. Questa volta abbiamo avuto due mezze giornate all’arrivo e alla partenza e abbiamo girato la Medina, i mercatini, il profumo delle spezie nell’aria.
«Da lì ti butti anima e corpo in qualcosa di diverso, che non è la vacanza turistica da cui esci riposato. Perché è faticoso. Svegliarsi presto, fare il transfer, viaggiare in bicicletta, arrivare alla kashbah, all’hotel o al bivacco. Una sera siamo andati in mezzo alle dune e abbiamo dormito in bivacco, con sveglia alle sei per andare a fare la cammellata e aspettare l’alba. Non è la classica vacanza del cicloturista che va per fare tot chilometri. E’ stata immersione nel territorio. Se avevo ancora un dubbio sul potenziale del mondo gravel, con questo viaggio me lo sono tolto definitivamente».


Quaderni e pastelli
E poi è stato il viaggio degli incontri, perché uno si aspetta il deserto, ma fra quelle dune e quelle montagne c’è un popolo che va avanti nonostante i casini del mondo occidentale. E’ un mondo che appartiene allo stesso mondo e per questo forse ti chiedi come sia possibile tanta differenza.
«Abbiamo incontrato di tutto – sorride Bettini – ad esempio dromedari allo stato brado che pascolano come i cinghiali intorno casa mia. Durante un pranzo nel mezzo del deserto abbiamo ospitato una coppia di Barcellona, incontrata per caso. Un bel ragazzo e una bella ragazza, che sono partiti e hanno deciso di dedicare tre mesi della loro vita a viaggiare con due gravel cariche di tutto punto. 40 chili di roba sopra, tende, fornellino, tutto. La bicicletta è la loro casa. Li abbiamo trovati in mezzo al deserto su una salita, in cima ci siamo salutati e li abbiamo invitati a pranzo.
«Siamo passati nei villaggi berberi e mi sono trovato circondato da ragazzini. Sai cosa porti ai ragazzini che vivono in mezzo al deserto, dove la prima città la trovano a due ore di dromedario? Le matite, i pennarelli e la carta. Per tutti purtroppo non c’era, però ci siamo organizzati. E visto che il grosso dei bagagli ce li portavano sui furgoni, dal terzo giorno ho mollato anche le cose di prima utilità e in sei o sette del gruppo ci siamo caricato di quaderni che abbiamo distribuito a questi ragazzini che ci accoglievano sempre con il sorriso da orecchio a orecchio.
E lì ti fai tante domande: ecco perché diventa un viaggio profondo. Affronti le giornate in maniera diversa, le distanze non sono un problema. Vedi queste persone che affrontano i problemi col sorriso, che sono pronti ad aprirti le porte di casa, anche se in molti casi le porte non le hanno. E’ stata un’esperienza full immersion, bravo Andrea Tonti ad aver messo insieme una cosa così bella».


Fatica e chilometri
E poi comunque c’è stato da pedalare e non è stato sempre facile, perché il territorio non è comodo e la gravel faceva spesso fatica ad avanzare fra ghiaia, sassi e sabbia.
«Il secondo giorno si è fatta una traccia di 67 chilometri – spiega Bettini – con due passaggi: uno a quota 1.800 e uno a 1.900. Parti da mille metri più o meno, quindi ne devi fare 900 di dislivello tutti su sterrato. C’erano 25 gradi, maglietta e pantaloncini: giusto l’antivento in discesa perché a 1.900 metri è freschino. Sono stati 67 chilometri di montagne in gravel, con sabbia, ghiaia e greto del fiume, dove affondi.
«Eravamo in 27, un gruppo completo. Quelli più performanti, chi aveva la pedalata assistita e chi è venuto per scommessa e alcuni tratti se li è fatti a piedi. Io sono sgamato, ho forza: nella sabbia spingo e ne esco fuori. La mia compagna Marianella rimaneva affossata e ha dovuto farsi i suoi tratti a piedi.
«Però è stata la settimana più bella che potessi immaginare. Ha unito il gruppo. Non puoi lasciare indietro nessuno, perché non sei su strada e ci si aspetta in cima. Se ti succede qualcosa, sei nel nulla e bisogna essere presenti. Pertanto c’erano le guide ed eravamo divisi in gruppetti per non perdere di vista nessuno. Tra il primo e l’ultimo ci potevano essere anche 20 minuti, però nessuno era nel mezzo da solo».


Il gregario e il capitano
Il gregario Andrea Tonti è diventato capitano nel suo nuovo lavoro: Bettini ride e ne conviene. Il passaggio dell’idea ha dato ottimi frutti, ma ha richiesto un grande lavoro di preparazione e di ricerca delle risorse sul posto. Tolti due ragazzi dello staff di Bike Division, tutto è stato fatto con personale marocchino.
«Sono stati bravissimi – spiega Bettini – a mettere insieme una logistica e un’esperienza che esce fuori dalla classica vacanza in bicicletta. E’ un’avventura. Una sera siamo arrivati in una kashbah e non c’è stato verso di far partire il riscaldamento nella stanza. E allora ho dormito in tuta, con la felpa, il cappuccio e il berretto. Ho messo una coperta e buonanotte. Ci vuole spirito d’avventura, ci vuole adattamento. E’ per chi ha voglia di buttarsi interamente in un’esperienza completamente diversa. Ma detto questo, sei servito e riverito, con un’organizzazione da applauso.
«Non è stato semplice mettere in moto una macchina con due pulmini da 15 posti, nove jeep con portabici sopra, il camioncino per spostare i bagagli, quello con il cuoco e gli assistenti che ci facevano trovare da mangiare. Non sei nelle Marche dove uno come Andrea può… giocare con i suoi amici: lì ti devi coordinare con 18 persone del Marocco. Da organizzatore, era già bravo perché lo fa da anni. Ma questa volta è stato il primo che ha avuto il coraggio di uscire dagli schemi».
Betto, lo sai che mi hai fatto voglia di partire per il Marocco?
Dal 21 al 26 gennaio c’è la prossima, quella fissa con le escursioni a margherita.
No, a me piacerebbe semmai il viaggio itinerante…
Allora si va insieme il prossimo novembre. Non prendere impegni! E guarda che mi ricordo…







