Manuella Crini, psicologa piemontese, è da tempo una importante voce di bici.PRO e bici.STYLE. Con lei abbiamo affrontato varie tematiche legate alle prestazioni, all’ansia, ai disturbi alimentari, la depressione, il benessere derivante dall’attività sportiva e lo spirito di gruppo. Questa volta tuttavia è lei a scrivere, calandosi nella parte della giornalista per raccontare cosa ci sia dietro un evento a suo modo estremo.
Ho seguito le ore che hanno separato Milano e Napoli, chiedendomi che cosa potesse spingere 18 persone a pedalare sotto al sole, di notte, su strade sconosciute e, soprattutto, cosa provassero. Non ho resistito. Gliel’ho chiesto.
Ma prima, un salto indietro. Assault to Freedom è una community di folli, quella follia sana, che racconta di un solo modo di vivere: in libertà. E si esprime attraverso lo sport, il ciclismo, per potersi vivere, per poter vivere, liberi. Liberi da costrizioni, liberi da sensi di colpa, e portarsi al limite, per andare oltre, costruendone uno nuovo da poter superare.
L’ultima sfida ha visto impegnati 18 ragazzi, compresa una famiglia fatta da padre e i due figli. Sono partiti vestiti di bianco e rosso dallo Stadio di Milano per poi indossare una rigorosa divisa azzurra e fermarsi davanti allo Stadio di Napoli. One push. Perché fermare l’energia che è in circolo, fatta di adrenalina, dopamina, serotonina e endocrine sparse, non fa parte della filosofia di Assault.



Assault to Freedom
Chiedo a Stefano di chiacchierare con lui, fa strano vedere una persona che da anni sento raccontarsi attraverso i canali social, davanti ad uno schermo in interazione. Fa strano perché appare normale. E questa sensazione, di pensieri che arrivano ben prima delle parole, di sensazioni che non necessitano di essere verbalizzate, sembrano il cuore che pulsa di Assault.
Assault to Freedom nasce per gioco e con gioco nel 2016, l’assalto alla libertà, per mano, o meglio, per gambe, di Stefano Ellea (Stefano La Mastra) e ilBianki (Alberto Bianchi). Il ciclismo era uno sport per vecchi campioni, lo sport era una competizione contro qualcun altro, mors tua vita mea, e dentro questo contesto che si avvicina inconsapevole al COVID, Stefano crea qualcosa di diverso. Una piccola nicchia, una goccia nell’oceano internazionale, un gruppo di poche persone che usano lo sport come un gioco. E se si chiede ad un bambino perché sta giocando, lui ti risponderà semplicemente: «Perché mi piace». Ed è lo spirito che da quasi 10 anni attraversa questo gruppo, che cresce, si nutre, si alimenta di voglia di vivere di testa di cuore di gambe e di follia.
Nessun vinto, tutti vincitori
Lunghe pedalate, nel rispetto dei tempi di ciascuno, regole chiare e libertà. Nessun vinto. Tutti vincitori. A giugno hanno messo un’altra pennellata sul grosso quadro che Stefano sta cercando di terminare, una lunga pedalata one push Milano-Napoli, MiNa: 18 persone, 18 eroi che attraversano l’Italia sotto la calura di quest’estate 2025. Passano attraverso percorsi che trasudano storia, bellezza, eleganza. Il percorso è suddiviso in tre parti, una lunga narrativa psicologica.
La prima parte è morbida, per poter pedalare e unire 18 persone che prima di allora si erano incontrate per percorrere un’unica altra tratta. Ma non si conoscevano e hanno avuto modo di trascorrere la strada diventando un unicum. Alternandosi in capofila, creando l’ingroup, loro dentro, il resto del mondo fuori. La notte li ha visti continuare nella seconda tappa già uniti, legati: un gruppo che attraversa l’Italia ed infine la sfida di ognuno con se stesso. L’ultima tratta e il traguardo a Napoli. Stefano ha pianto tra -10 e -5 perché dopo non poteva. Perché per arrivare a creare MINA, ha attraversato stress, sfide con se stesso, sfide organizzative, incastri perfetti e ha lasciato lo spazio per le lacrime di gioia agli altri 17.
La strada cura le ferite
Cosa lo abbia portato a questo, la ricerca della libertà, alla ricerca del tempo felice, in cui la fatica si trasforma in endorfine, in dopamina, in serotonina che non viene mai abbandonata nemmeno durante la notte, perché non ci si ferma mai si deve arrivare in fondo. Non c’è un senso di dovere che genera ansia, perché è un motore che si auto alimenta, cura le ferite. Ognuno porta la sua in questa lunga strada, ognuno torna diverso da come è partito.
Stefano non è ancora arrivato perché questa era solo una pennellata. Ci sono altre sfide, altri momenti che lo tengono ancora nella corrente, quando arriverà alla fine del suo percorso, ad agosto, farà i conti con se stesso.
Pedalare per cambiare
Lo sport è diventato una gara, una prestazione continua, è diventato performance, lo sport è diventato un lavoro. Assault to Freedom lascia la libertà allo sport, uno sport estremo che porta all’estremo, che porta ad una grossa sfida. La competizione più grande, quella con se stessi, quella in cui ce la fai, perché ce la devi fare. Perché ovunque tu possa arrivare, ecco, quello, il è tuo punto migliore. Oggi. Domani magari sarà un altro e ogni passo, ogni traguardo, ogni sfida con se stesso è una vittoria.
In Assault non si perde mai, si cambia però. Perchè è un viaggio continuo dentro se stessi, portato all’estremo pedalando attraverso 850 km, da Milano a Napoli, con maglie che cambiano colore, con facce che cambiano sapore. Accompagnati da un piccolo vademecum per la sicurezza di tutti e per la sicurezza del gruppo, perché il gruppo ha fatto la differenza ed era tutt’uno.
Una botta di 365 emozioni
Si parte insieme, si arriva insieme, nessuno perde e tutti vincono, in una gara in cui non ci sono altri concorrenti, perché non è la competizione brutale dello sport. Chi arriva prima non ha vinto, si vince solo se si arriva tutti fino in fondo con il sorriso, con le lacrime. Ho chiesto a Stefano quale delle 365 emozioni che la mente umana può generare avesse provato. E lui mi ha risposto semplicemente: «Tutte insieme», una bomba.
Parlare con lui è stato attraversare in parte l’Italia. Con sé porta energia, porta calore, porta colore, porta un progetto che è diventato il suo progetto di vita. Un progetto complesso, un progetto profondo, una ripresa di quanto più prezioso abbiamo al mondo: il tempo.
Stefano ha ripreso il suo tempo durante la pandemia, cambiando lavoro, cambiando vita, cambiando espressioni sul volto. Stefano ha una personalità complessa, criptica e trasparente, come quella del torrente dentro la cui la corrente scorre. Trasmette calore, energia, trasforma l’ansia in qualcosa che pulsa, che diventa vivo. Che arriva agli altri e dà vita. Non mi basta, ho intervistato Stefano, ho percepito come questo fosse solo un piccolo tassello della sua storia di vita. Ma la loro impresa mi ha reso ingorda di emozioni e ho voluto anche incontrare chi con lui ha attraversato l’Italia.
Una birra per capire
L’ansia arriva prima. Colpisce cose a caso, diventa lieve e cerca compensazione, allora Andrea Filippi, il Pippy, mette le Haribo in tasca. Poi si parte e a quel punto Ansia lo aspetta a casa, al ritorno e si trasforma, in balorda nostalgia, che accade dopo la ritirata dell’adrenalina dal corpo.
Andrea si siede su una bicicletta dopo anni di basket, quando il suo corpo reclama uno sport che in maniera rapida gli restituisca la forma. Ma ogni giorno la fame diventa più grande e quasi come se fossero anime erranti, unite dal filo rosso della vita, incontra Stefano.
Incontra Assault to Freedom e da lì nascono le sfide. Quelle con se stesso. Quelle che quando finiscono, ti fanno portare a casa qualcosa. Quel qualcosa lo esploriamo davanti ad una birra. Dopo quasi una settimana dal ritorno Milano-Napoli, dove ha pedalato, creato legami, dormito con la testa su un sagrato per 5/10 minuti, perso peso e guadagnato voglia di vivere. Finché ce la farà il suo corpo, porterà a casa un limite spostato un po’ più in là. Uscirà dai suoi confini vincendo il dolore ogni volta. Perché quello fanno, quelli che come lui, si siedono su una bicicletta e a testa bassa, a testa alta, pedalano senza mollare. Fino al capolinea. Uno. Poi ne arriverà un altro.
Ho toccato la libertà
Non c’è ansia da prestazione alla partenza, perché la sfida è già stata vinta nel momento in cui ha detto «Sì, lo voglio» e tutto accade con la magia. Con la forza che arriva dalle persone che trovano in lui la forza per affrontare altre sfide, perché ognuno ha la sua. Per i suoi 40 anni, Andrea, ha fatto 40 volte una faticosa salita e ha sempre avuto nelle lunghe ore in cui ha sfidato se stesso, qualcuno che lo ha accompagnato. Con il quale l’energia è entrata in circolo. Ansia è stata con lui solo la sera prima. Gli ha fatto preparare riso bollito e prendere le caramelle, poi, come una base sicura, lo ha lasciato andare. Diventando fiducia. Cambiando di nuovo Andrea nelle viscere.
Conoscere Assault to Freedom attraverso i volti di Stefano e Andrea è stato come comunicare con i nostri emisferi destri dell’encefalo. Una connessione che fa passare parole, fatica, dolore, gioia e soddisfazione. Ho toccato la loro libertà. E l’ho amata.