TERRANOVA DI POLLINO – Dopo la prima tappa in Basilicata nei dintorni di Maratea, la nostra seconda giornata nella Lucania ci riserva scenari prettamente montani, con una bella pedalata nel cuore del Parco del Pollino. Siamo a Terranova nel giorno della vigilia della storica Pollino Marathon, gara di mountain bike che quest’anno ha tagliato il traguardo delle 23 edizioni. A farci da Cicerone in questo sabato mattina avremo proprio l’organizzatore dell’evento, Pasquale Larocca, che gentilmente ha trovato il tempo di accompagnarci sulle pendici di questo angolo di Appennino.
Carichiamo le Lapierre a pedalata assistita sul pick-up di Pasquale e lasciamo il paesino di Terranova ai suoi preparativi, mentre noi ci addentriamo nel cuore della montagna, prima su una stradina asfaltata e poi su una sterrata, sempre più avvolta dal bosco.
«Qui siamo già sul percorso della Marathon – dice la nostra guida mentre è al volante – e infatti lì vedi i cartelli dei tre percorsi divisi per colore: verde per il tracciato da 35 km, blu per il medio da 45 km e rosso per il percorso 65 km. Quest’ultimo è riconosciuto da molti come parecchio impegnativo perché per primeggiare occorre dare fondo a tante qualità, dalla resistenza fisica, alla tecnica di guida, fino alla tenuta mentale».
L’acqua della sorgente Pittacurcio
Pasquale posteggia il pick up a margine della sterrata immersa nella faggeta. Due regolazioni e siamo già in sella con il naso all’insù. L’obiettivo di giornata è arrivare ai 2.000 metri del Giardino degli Dei, un altopiano circondato da cinque vette del massiccio del Pollino.
«Come cinque dita che circondano il palmo d’una mano», dice lui. Alcuni tratti sono su pietraia, tanto che dobbiamo aumentare la potenza del motore e portarci in punta di sella per superare gli ostacoli della salita.
Di tanto in tanto il bosco si apre a qualche radura, come il Piano Iannace. Poi di nuovo tra i faggi (che da queste parti arrivano a quote notevoli, anche sopra i 2.000 metri) e ancora uno spazio ampio, quello dove sgorga la sorgente Pittacurcio. Qui troviamo un nutrito gruppo di escursionisti a piedi che a turno riempiono le loro borracce. Li imitiamo e poi li salutiamo, riprendendo a salire sul pascolo, tra le mucche incuriosite dalla nostra presenza.
Un vero avventuriero
Parlando con Pasquale capiamo la sua tempra: non solo è un appassionato di bici e l’anima della Pollino Marathon, ma un vero e proprio avventuriero. Oltre al mountain biking si cimenta in alpinismo ed è maestro di sci di fondo. L’amore per la propria terra ed un sano spirito di competizione lo hanno portato a scegliere proprio il suo Pollino per le ultramaratone con gli sci, sia in Finlandia che in Alaska (qui un servizio televisivo a riguardo).
Con la sua Pollino Adventure, inoltre, propone molte attività outdoor in Basilicata, tra cui merita una menzione un coast to coast in bici in tre tappe, da Nova Siri a Maratea. Tra l’altro una versione in collaborazione con le AVIS provinciali di Potenza e Matera, AIL e DOMOS Basilicata si svolgerà dal 6 all’8 settembre. Si chiama “Due mari di solidarietà” e vuole diffondere i valori etici del volontariato e della donazione attraverso corretti stili di vita.
Fra i pini loricati
Finalmente sbuchiamo sull’altopiano: la vista intorno a noi e gli amplissimi spazi che si dipanano in ogni direzione rendono merito al nome dato a questo luogo: Giardino degli Dei. Del resto, lo stesso Pollino deriverebbe Mons Apollineum, cioè Monte di Apollo. Secondo alcuni studiosi la teoria si potrebbe spiegare immaginando il Pollino come l’Olimpo della Magna Grecia. Il massiccio è infatti visibile a distanza da tutto il Mar Jonio e non è improbabile che i Greci lo abbiano eletto a sua dimora. Tra i cavalli che pascolano liberi la nostra attenzione è colpita dagli alberi che circondano questo anfiteatro naturale.
«Sono i tipici pini loricati – indica Pasquale – così chiamati perché la loro corteccia ricorda la lorica: l’armatura dei legionari Romani. Se guardi bene lassù, ce ne sono alcuni morti, ma ancora perfettamente in piedi». Quest’epico sforzo di non lasciarsi andare perfino dopo la morte è dovuto all’abbondante resina prodotta dalla pianta, che ne impedisce la marcescenza.
«Vieni, ti porto a vederne uno da vicino cui sono legato». Pochi colpi di pedale e siamo al cospetto di “Zi’ Peppe”, un pino loricato che però stavolta è steso sul terreno. La sua morte infatti non è stata dovuta ad un evento naturale, ma è stata causata dalla follia dell’uomo.
«Fu incendiato da un piromane nel 1993 – spiega Pasquale – io all’epoca c’ero, avevo circa 15 anni e mi ero lanciato in una delle mie prime fughe di nascosto su queste montagne. Da lontano vedevo il fumo ergersi e gli elicotteri volare sopra di me. Scappai impaurito pensando che mi dessero la colpa di quanto accaduto. Poi, negli anni a venire, su questo incavo che vedi nel tronco ci abbiamo dormito un’infinità di volte, a guardare le stelle». In effetti il legno è levigato ed ha preso la forma di un giaciglio, grazie proprio alla resistenza dovuta alla resina…
L’Abisso di Bifurto e la discesa
Tutto l’altopiano ha un qualcosa di magico e il nostro compagno di pedalata spiega che a rendere tutto più misterioso c’è anche quello che non vediamo.
«Qui sotto ci sono grotte e cavità tra cui l’Abisso di Bifurto – spiega – che ha ispirato il film ‘Il buco’». La pellicola è stata premiata con il premio della giuria al Festival di Venezia del 2021 e ripercorre la vera storia degli speleologi che, nel 1961, esplorarono questa grotta profonda ben 683 metri.
Ascoltando le parole del regista Michele Frammartino, sembra proprio una “contro-storia” di quel tempo: «Negli anni in cui si guardava verso l’alto con Gagarin nello spazio e con la costruzione del Grattacielo Pirelli di Milano, questi ragazzi erano invece attratti dall’abisso».
Un po’ capita anche a noi ciclisti, di essere attratti dalla conquista dei valichi e delle vette ma, al tempo stesso, di ricercare l’immersione nell’intimità dei boschi. E’ quello che facciamo anche oggi sulla via del ritorno. Lasciamo andare i freni e facciamo lavorare forcelle e ammortizzatori nei tratti che abbiamo percorso in salita, verso la Piana di San Francesco e la strada dell’Acquedotto. In più ci concediamo qualche variazione sul tema con degli appaganti single track tra sassi e radici.
Sapore di antica Grecia
Dopo il pranzo a Terranova presso il ristorante La Grotta, il pomeriggio lo dedichiamo alla visita di Latronico e delle sue terme. Quindi ci spostiamo a San Costantino Albanese, uno dei più caratteristici paesi di cultura arbëreshe della Basilicata, nella Val Sarmento. Le particolarità di questo paesino sono due. La prima è la possibilità di effettuare il Volo dell’Aquila appesi ad un cavo che plana per circa un chilometro dalla montagna al campo sportivo. L’altra è legata alla sua storia: qui arrivarono nel 1534 i profughi Coronei per sfuggire ai Turchi e le comunità che si sono susseguite hanno tramandato di generazione in generazione le loro usanze ed i loro costumi che si possono ammirare all’Etnomuseo dedicato.
Le nostre scorribande in Basilicata non sono terminate. La terza e ultima giornata prevede altra salita e altri panorami su questa poliedrica terra, con la scalata al Monte Sirino…