Di gente che ha inforcato la bici per un’avventura estrema ce n’è in grande quantità. Capo Nord è una destinazione privilegiata e anche su queste pagine abbiamo già avuto modo di occuparcene. Ma quella che ha vissuto Andrea Galeazzo ha qualcosa di particolare: il sessantenne veneto è partito da Padova per arrivare nell’estrema punta europea, in quasi un mese, ma la cosa che ha colpito è la sua minuzia nella preparazione di quest’avventura, realizzando quasi un prontuario di tutto quel che serve per poterlo imitare.
Per questo ci siamo incuriositi e a qualche giorno di distanza dal suo ritorno a casa abbiamo deciso di entrare nello specifico, partendo dalle sue motivazioni: «Il sogno di andare a Capo Nord mi era venuto tanti anni fa, solo che pensavo di andarci in moto. Poi mi sono sposato, la nascita dei figli, gli impegni di famiglia e di lavoro e il sogno era finito in fondo al cassetto. Nel 2020, nei giorni dell’epidemia, ho iniziato ad andare in bicicletta e mi sono appassionato alle Granfondo. Nel 2023 sono “stato costretto” alla pensione anticipata e mi sono ritrovato con tantissimo tempo a disposizione, per cui quel sogno è tornato a galla».
Come ti sei organizzato?
Da un paio d’anni avevo questa idea e poi l’ho cominciato a concretizzarla circa un anno fa, innanzitutto comprandomi una bici da cicloturismo e poi iniziando a studiare il percorso su komoot. Ho creato le varie tracce, pensando che ero la mia prima esperienza, fissando delle tappe di circa 110-120 chilometri al giorno, perché pensavo che era la distanza massima che potevo sostenere in tranquillità.
Lo studio come lo hai effettuato? Guardavi anche che cosa trovavi lungo il percorso, i luoghi per sostare, per mangiare…
Io praticamente sono partito con l’idea di dormire in tenda dov’era possibile, per cui sono partito innanzitutto dal percorso in generale. Ho impostato casa mia e Capo Nord su komoot che mi ha dato un percorso. Questo ho cominciato a spacchettarlo e settorializzarlo, lo dividevo per la distanza prefissata e cercavo campeggi e punti di sosta nella zona di destinazione.
Fai un esempio…
Partendo da Padova ho pensato che la prima sosta era da fare a Caldonazzo. Lì ho cercato se c’erano campeggi e ho impostato come destinazione di arrivo il campeggio scelto. Il giorno dopo sono andato da Caldonazzo a Bressanone e ho fissato un approdo nei paraggi. E così via, costruendo nei particolari qualcosa come 37 tappe. Poi chiaramente ci potevano essere cambiamenti, campeggi chiusi, insomma l’avventura è fatta anche di imprevisti. Fra questi, per fortuna, nessuno che ha riguardato la bici.
Tra gli imprevisti c’è stato anche il clima?
Sì, ci sono stati due giorni che pioveva, quindi non sono riuscito a montare la tenda, sono andato in albergo e dalla Svezia in poi, alla sera faceva molto freddo. Cercavo di dormire in bungalow riscaldati, per essere riparato dalla pioggia e dal vento.
Come hai attrezzato la bici, quante borse avevi e che cosa ci hai messo dentro?
Intanto ho scelto una bici da strada invece di una gravel come tutti mi consigliavano, perché per il tipo di viaggio che dovevo fare, non veloce, avevo bisogno di una bici solida, con un carico diciamo un po’ più pesante rispetto a quello che si ha nel bike packing. Ho preso una bici Surly con i portapacchi montati e su questi portapacchi ho montato quattro borse, poi nella parte superiore dei portapacchi avevo davanti la tenda mettevo le cose da mangiare, quel che compravo in un supermercato. Dalla Svezia non era facile trovare posti per rifornirsi ma neanche per mangiare, erano piuttosto rari. Quindi quando li trovavo compravo anche del cibo in più, in modo da avere la disponibilità per almeno 24 ore. Mi ero portato anche un piccolo fornello da campeggio, usato soprattutto per la colazione.
Per il vestiario come facevi invece?
Io avevo guardato un po’ le temperature e pensavo sinceramente di trovare meno freddo, quindi ho portato tre completi estivi e uno invernale, in più avevo due T Shirt, dei pantaloni normali e delle scarpe normali. Dalla Germania ha cominciato a far freddo e ho usato poco i completi estivi per cui ho usato soprattutto l’attrezzatura invernale, fatta da un giubbetto, dei pantaloni lunghi da bici, manicotti e gambali. Quando avevo un buon riscaldamento, dove mi fermavo provvedevo a lavare tutto e ad asciugarlo. Erano anche giornate ventose, per cui si asciugava tutto anche abbastanza velocemente. Nei campeggi c’era sempre un locale adibito a lavanderia.
Ti è pesata la solitudine?
Tra Svezia, Finlandia, Norvegia si pedalava per ore senza incontrare veicoli, anima viva, era un po’ dura psicologicamente parlando, solo boschi e foreste. Da una parte però apprezzavo, perché comunque erano dei paesaggi molto belli ma ero anche in apprensione perché pensavo, se mi succede anche una banalità, non sapevo neanche se il telefono prendeva.
Qual è l’episodio che ti è rimasto più impresso?
Ero arrivato in un paesino della Svezia molto piccolo, con questo campeggio che però era chiuso. Ho chiesto a un distributore se c’erano strutture, alberghi, mi ha detto di no. Caso ha voluto che ci fosse un signore che mi stava ascoltando e mi ha detto che poteva ospitarmi. A casa sua che aveva una veranda in costruzione e quindi mi ha ospitato a dormire. Era con la moglie e i due figli, tutti gentilissimi e ospitali. Salvandomi perché fuori c’era davvero brutto tempo.
Quando hai incominciato a vedere Capo Nord all’orizzonte?
L’ultima parte è molto dura, gli ultimi 30 chilometri consigliano di alleggerirsi delle borse per arrivare e poi tornare a prenderle e così ho fatto. Ho cominciato a intravedere in lontananza il famoso mappamondo ed ero quasi incredulo, ma c’era brutto tempo e non sono riuscito a godermi più di tanto il momento. Veniva giù pioggia ghiacciata. Ma lì c’era la mia famiglia ad aspettarmi e questo era il migliore dei premi…