Da Santa Maria di Leuca ad Otranto: i 52 chilometri che separano queste due perle del Salento sono forse i 52 chilometri più belli d’Italia. Panorami, ma anche storia, odori e sapori sono infilati dalla Sp358, la strada litoranea che costeggia il Mare Adriatico.
Spesso, quando parliamo di itinerari lineari, specifichiamo che si possono fare in un senso e nell’altro, anche questo chiaramente. Ma su questa strada costiera vi consigliamo vivamente la direzione Sud-Nord, appunto da Leuca ad Otranto. E il perché è semplice: tenendo la destra si possono ammirare meglio i panorami lungo la costa. E se si decide di fare delle deviazioni verso il mare, anzi quando si faranno delle deviazioni, non bisogna attraversare la strada.
Strada che, nei periodi primaverili e autunnali è davvero povera di traffico. Ma non è la prima volta che la Puglia ci regala situazioni simili.
Leuca e i due Mari
Montiamo in sella. Santa Maria di Leuca è il punto più a Sud di questa parte d’Italia, è il famoso Tacco dello Stivale. Punta Ristola, per la precisione se parliamo di geografia. Da questa, si attraversa Santa Maria, pedalando tra le sue ville nobiliari di fine ‘800 e inizio ‘900, e si giunge a Punta Meliso. E’ qui che termina l’Acquedotto Pugliese e sempre qui ci sono il Faro e l’adiacente Santuario di Finibus Terrae.
La vista è subito magnifica. Si vede Leuca dall’alto. Il porticciolo con un camminamento da non perdere e, se le correnti sono favorevoli, nell’acqua si nota una linea di demarcazione che separa l’Adriatico dallo Ionio.
Si parte. E siamo anche fortunati, perché dopo diversi anni di lavori, la Sp358 è del tutto percorribile. Sono terminati dei lavori e la messa in sicurezza del Ponte Ciolo, noto per la movida e per dare spazio ai temerari di tuffarsi dai suoi 40 metri d’altezza all’interno di una caletta che è tutto un programma: mare cristallino, fondo roccioso, arbusti verdi sulle falesie.
Il fondo stradale è più che buono. La strada è tutta un saliscendi fino ad Otranto. Di pianura vera e propria in tutti i 52 chilometri ce n’è davvero pochissima, ma le salite sono dolci. Il punto più elevato è Torre Nasparo, più o meno ad un terzo del tragitto, che sorge a 125 metri di quota. In tutto il dislivello è di poco superiore ai 400 metri.
A picco sul mare
Pajare, alcune abitate e ristrutturate, altre abbandonate e ormai integrate nella natura, fichi d’india e olivi secolari, muretti a secco ci accompagnano per tutto il tragitto. Specie nei primi 30 chilometri, fino a Castro, è questo il leitmotiv del viaggio. Tra l’altro contrariamente agli ulivi dell’interno, questi sono sani: la Xylella in questi alberi così vicini e rivolti al mare non ha attecchito. Il verde, specie in primavera è forte, potente.
Le Torri di avvistamento segnano il passo. Torre Nasparo, Torre del Sasso, Torre Sant’Emiliano, Torre del Serpe… Sono un emblema di questa strada.
A proposito di Torre del Sasso, questa è stata ristrutturata da alcune associazioni locali, tra cui MTB Tricase che cura la sentieristica interna e in caso di bisogno aiuta i ciclisti.
«Se qualcuno ha bisogno di aiuto, una guida o dei consigli – dice il presidente, Marco Bartalini – noi lo facciamo volentieri. Anche per fare delle escursioni nell’entroterra. Lo facciamo gratuitamente».
Quante perle…
Per fare questi 52 chilometri è d’obbligo impiegare tanto tempo! Come detto le attrazioni sono tante. Sia quelle di mare che quelle culturali. Ognuna di queste torri porta con sé leggende e storie. Ma ci sono anche le località ed ognuna di queste ha una sua peculiarità.
Il Porto di Tricase per esempio è tanto piccolo, quanto bello. Proprio sul porticciolo, lungo la strada lastricata, c’è un bar che propone degustazioni tipiche di vini e di stuzzichini. Una puccia con pomodorini secchi e polpo, le friselline…
Poco più avanti iniziano le grotte, che in realtà c’erano anche a Leuca, ma la Grotta di Zinzulusa è assolutamente da visitare. Si lascia la Sp358 e con qualche centinaio di metri ripidi, si scende al mare.
Castro domina
Più o meno a metà strada, tra Leuca e Otranto, sorge invece Castro. Castro la si vede dominare il paesaggio, con il suo bianco inteso che stacca tra il blu del mare e il rosso delle terre coltivate dietro e il verde della costa. La città alta è fortificata da mura imponenti. E al suo interno ci sono negozi tipici, ma il cammino della mura stesse offre un’occasione per conoscere meglio la storia di Castro e del Salento. Castro infatti è stata oggetto dei desideri di romani, arabi, barbari, bizantini, vescovi… un motivo ci sarà.
Ed è anche meta di ciclisti, specie biker che ogni anno vengono per un’importante marathon, la Castro Legend Cup.
«Non solo – dice Giuseppe Maggiore del Ciclo Club Spongano – noi stiamo portando avanti progetti cicloturistici legati al gravel nell’entroterra. Abbiamo delle vecchie strade romane da riprendere e altre varianti lungo la costa. Anche noi spesso diamo consigli e accompagniamo i ciclisti. Tra l’altro stiamo stringendo delle convenzioni con dei B&B locali, grazie anche all’iniziativa di Bike Hospitality della Federciclismo».
Tra greci e mori
Dopo 35 chilometri, probabilmente resterete stupiti da alcune palazzi arabeggianti. E’ Santa Cesarea Terme.
Un’aspetto di questa porzione del Salento sono le sue influenze greche e anche arabe o, per meglio dire moresche, che in parte si erano viste anche a Leuca. Santa Cesarea è una località termale. Le sue acque curative sgorgano da quattro grotte: Gattulla, Solfatara, Solfurea e Fetida poste proprio sotto alcuni di questi palazzi moreschi. Nel primo ‘900 era una località rinomatissima. Gran parte della nobiltà europea è passata da qui. Oggi offre locali e insenature.
Dicevamo delle influenze greche. Nell’entroterra in alcuni comuni ci sono ancora scampoli di greco antico, un dialetto che seppur a fatica, ancora sopravvive. E ci sono anche influenze più orientali, come detto. Anche l’iconografia religiosa è leggermente differente. Ha qualcosa di ortodosso. Le figure sono spesso contornate da cornici dorate, o mosaici. Un esempio è una Madonnina incastonata nella roccia all’ingresso del molo del Porto di Tricase.
Curve e panorami
Dopo Santa Cesarea Terme, il paesaggio cambia leggermente. La costa tende ad ampliarsi in alcuni tratti. La strada resta sempre dolce. E’ un cullare di curve: ora si punta nelle campagne, ora sul mare. Tante calette invitano a fare un tuffo. Porto Badisco, l’insenatura più profonda del Salento, è una di queste.
Da qui, per gli ultimi 8 chilometri, si lascia la Sp358 e stando a destra si imbocca la Sp87, almeno se si vuol entrare ad Otranto lungo la costa.
A tratti, sulla sinistra la terra è rossa. Un rosso potente. Non a caso una delle perle che s’incontra lungo il cammino è la cava di bauxite, quindi ferro.
Arrivo ad Otranto
Superata anche la Cava di Bauxite, non resta che entrare ad Otranto, una delle “capitali” del Salento. Qui il turismo è linfa. Per certi aspetti ricorda Castro, ma le sue mura sono giallastre e non bianche. Al suo interno ci sono bancarelle e ristoranti, ma ancora una volta non mancano musei e mostre.
Uno dei più interessanti di questi si trova qualche chilometro prima, presso il Faro di Punta Palascia. E’ il Museo di Ecologia degli Ecosistemi Mediterranei, dell’Università del Salento. Questo faro, tra le altre cose sorge sul punto più ad est di tutta Italia. Non stupitevi se tra una folata di vento e l’altra all’orizzonte scorgerete delle alte e scure montagne: quell’Albania. O, se guardate verso Sud, Corfù e Grecia.