«Si parte da sconosciuti e si arriva da amici. Il bello della Transichnusa è anche questo», Massimo Molon, patron di La Nuragica, presenta così il suo fiore all’occhiello. Un altro viaggio nelle infinite bellezze dell’Italia.
Ma ad attirare l’attenzione è anche quel nome: Nuragica. La civiltà nuragica è ben più antica dei romani. E’ la radice della Sardegna. Un simbolo. I Nuraghi erano le strutture simbolo della Sardegna. «Se vai nell’entroterra, prima o poi ne trovi uno», aggiunge Molon.
Passione e lavoro
Massimo e la sua compagna Cristina erano, e sono, due cicloviaggiatori e di questa passione ne hanno fatto un lavoro.
«Tutto – dice Molon – nasce qualche anno quando facemmo il Cammino di Santiago, fu un colpo di fulmine. Da lì è nata La Nuragica, un’azienda cicloturistica che è anche un’associazione sportiva, visto che proponiamo anche degli eventi, e nolo bici. Abbiamo due grosse tipologie di viaggio: una più esplorativa ed è quella più “intima” se vogliamo, e una più semplice, più alla portata di tutti. Escursioni di un giorno».
Senza dubbio la gravel consente di ampliare i margini, senza dilagare eccessivamente i tempi. Di fatto è una tipologia di bici più veloce, rispetto alla mtb e per questo è il tipo di bici prediletto da La Nuragica. Chiaramente servono i percorsi giusti e non a caso Massimo e Cristina optano per tracciati mai troppo tecnici.
Transichnusa
Tra i tanti eventi nella lista di La Nuragica c’è Transichnusa. Si tratta della grande traversata della Sardegna. Questo è uno di quei viaggi intimi di cui parlava Molon.
«E’ anche il viaggio che più ci ha dato visibilità e da lì è nato anche gran parte del resto. La Transichnusa va da Olbia a Sant’Antioco, quindi da Nord-Est a Sud-Ovest e riesce a far conoscere tutte le sfaccettature della Sardegna: i due mari, le montagne, l’entroterra, i paesini…».
E i paesini interni della Sardegna sono davvero particolari. Più che altrove infatti questa isola è “isola” anche all’interno, un arcipelago. Tra un villaggio e l’altro i dialetti cambiano, ma cambiano di molto.
«Può darsi che un abitante della Gallura faccia fatica a comprendere un dialetto stretto del Campidano. Ma poi cambiano anche i cibi, la vegetazione e l’accoglienza.
«Nella parte di Olbia, con la Costa Smeralda, l’accoglienza iniziale è più accessibile, ma poi resta più “standard”. Loro sono abituati a ricevere gente. Nella Barbagia all’inizio si fa fatica a penetrare, ma poi si spalancano le porte in modo più profondo. Queste differenze si notano già a 50 chilometri da Olbia, nell’entroterra».
Molon racconta di bottiglie di Vermentino offerti alle carovane quando entravano in paese dai vecchietti. Nel bar della piazza ci si raduna. Il ciclista è ben visto.
«Questa cosa succede solo con i ciclisti – spiega Molon – se arrivano in paese dei turisti in camper o in auto non c’è questo tipo di accoglienza. Il ciclista viene visto come un viaggiatore vecchio stile, qualcuno che fa fatica e che merita “attenzione”. Condivisione è il termine giusto».
Quattro tappe
«Il percorso della Transichnusa misura 580 chilometri in quattro giorni di viaggio, cinque per l’intero evento. C’è infatti compreso anche il ritorno ad Olbia. Il dislivello è di 8.400 metri. Le tappe misurano quindi 100-120 chilometri e 2.000 metri di dislivello ciascuna. Sono intense ma non ci si deve spaventare perché si pedala tutto il giorno. Ci si ferma. Ci si riposa. Si mangia».
Le strade sono soprattutto in sterrato e su asfalto. Tuttavia per ora non è ancora un percorso permanente in quanto nel tracciato della Transichnusa si attraversano tanti campi privati. Si devono superare cancelli. Ma i ragazzi di La Nuragica hanno il permesso per quei giorni.
A proposito: le prossime Transichnusa si terranno il 22-26 aprile e 9-13 ottobre.
In viaggio
Ma se questo è l’evento, come si fa per passare alla fase operativa? Quanto costa? Dove si dorme?
«Abbiamo stabilito un prezzo di 1.370 euro – spiega Molon – questa cifra comprende tutto: i transfer da e per l’aeroporto o il porto di Olbia. I pernottamenti, i pasti e anche l’assistenza tecnica e meccanica. Ed è un’assistenza che c’è ma non si vede.
«Mi spiego. Non c’è il classico furgone o mezzo al seguito, ma abbiamo dislocato zona per zona chi può offrire aiuto. E penso anche a quello tecnico: se si rompe la bici, siamo in grado di sostituirla. Perché gettare tutto all’aria per un guasto magari alla seconda tappa? O se qualcuno ha un malanno passeggero?».
Per il resto è un’avventura bikepacking, quindi ognuno deve muoversi consapevole di essere autonomo e gestire gli spazi delle proprie borse sulla bici.