Alessandra Cappellotto è nata in provincia di Vicenza alla fine degli anni ‘60, e da allora sembra già aver vissuto molte vite. E’ stata la prima donna italiana a vincere il campionato del mondo su strada, a San Sebastian nel 1997. In carriera ha conquistato anche due bronzi mondiali, due campionati italiani (uno in linea e uno a cronometro) e tre tappe al Giro d’Italia, tra le altre cose.
Una volta scesa dalla bici è stata vicepresidente dell’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani, consigliere federale della FCI e nel 2017 ha creato CPA Women, la sezione femminile del CPA (l’associazione dei ciclisti professionisti) di cui è tuttora Managing Director. Nel 2021 ha poi fondato Road to Equality, un’associazione che promuove l’emancipazione femminile attraverso il ciclismo nei Paesi in via di sviluppo. Grazie a questo, ha aiutato cinque cicliste della nazionale afghana a scappare dal loro Paese e a stabilirsi in Italia, dopo la presa del potere dei talebani nel 2021.
Una vita che contiene già moltissimo, eppure è un altro l’aspetto che vogliamo approfondire qui. A fine carriera infatti, Alessandra si è trasferita a Monfumo, sui colli asolani, dove ha iniziato una nuova attività: il lavoro in vigna.
Sui suoi profili social posta foto e video del suo impegno quotidiano tra decespugliatori, trattori e potature. E riferimenti al ciclismo. Come un video in cui visita i filari dopo una grandinata e dice: «Poteva andar peggio. Un po’ come quando corri in bici e scivoli a dieci chilometri dall’arrivo quando eri davanti. E dici: “Avrei potuto vincere, ma avrei anche potuto rompermi una clavicola”».
L’abbiamo raggiunta al telefono per farci raccontare questa parte della sua vita, che sembra avere poco a che fare con la bici. E invece – come abbiamo scoperto parlando con lei – è per diversi aspetti molto, molto simile.
Alessandra, dalla sella alla vigna, come Moser. Come mai?
Devo confessare che la scelta non è stata davvero ponderata, è venuta un po’ per caso. Io sono della zona di Vicenza, ad un certo punto ho deciso di spostarmi vicino ad Asolo anche perché ho trovato questa casa che mi è piaciuta subito molto, con le viti attorno. Era di un contadino e lui mi ha insegnato i primi rudimenti della potatura e così un po’ alla volta mi sono appassionata. Dopotutto siamo nella zona del Prosecco, dove il vino è una cultura radicatissima.
Dalle foto la tua vigna sembra molto in salita, abbarbicata sulla collina attorno a casa. E’ tutta così o ci sono anche appezzamenti in pianura?
Tutta rigorosamente così, ha una pendenza che non c’è neanche nelle peggiori rampe del Tour e del Giro. Infatti queste vigne sono antieconomiche, necessitano di una quantità di ore di lavoro che è fuori dalle normali logiche imprenditoriali. Ma hanno un altissimo valore intrinseco sia per la qualità del vino che per il paesaggio e per la storia. Ci sono viti che hanno oltre 100 anni. Infatti qui si fa tutto a mano. Io che prima non sapevo neanche cosa fosse un decespugliatore ho dovuto imparare tutto, con la fatica quotidiana. E mi è subito piaciuto molto.
Forse per il tuo passato da ciclista professionista?
Sicuramente. Dopo decenni in bici è questo aspetto che mi ha colpita e avvicinata così velocemente. Alla fine la vita del contadino è simile a quella del ciclista. Controlla il meteo ogni giorno per capire quando si può lavorare o no, come quando l’allenamento prevede un lungo e se diluvia devi spostarlo. Poi li accomuna lo stare sempre all’aria aperta, un’altra cosa fondamentale per me. Serve dedizione, non hai domeniche o feste, la costanza anche nel superare le difficoltà. A volte capita che il raccolto sia minore dell’anno precedente, come una stagione in bici può andare peggio di un’altra. Ma la disciplina serve a quello, a continuare comunque, allenando il fisico o coltivando una vigna. Che poi anche qui le sfumature fanno la differenza.
Per esempio?
La sensibilità di capire quando è il momento giusto di fare un certo lavoro, correre per finire in tempo oppure aspettare. Fare un trattamento o non farlo, tagliare l’erba oppure concentrarsi sulla potatura. Come in gara, accelerare o mettersi a ruota. Sono cose che ho imparato e sto ancora imparando da Luca Ferraro, il proprietario dell’azienda Bele Casel che produce il mio vino. Luca è appassionatissimo di ciclismo, un triatleta e ci siamo subito trovati. Secondo me proprio per l’amore verso la fatica che abbiamo imparato dallo sport.
Ci sono altri paragoni che hai scoperto tra bici e viti?
Ce ne sarebbero un’infinità. Per esempio tra i miei filari ci sono piante di più varietà, più giovani o più vecchie, e occorre capire quali tralci tagliare. Perché ogni vite è un essere a sé e va potata diversamente da quella accanto. Come avere in squadra uno scalatore e un passista, bisogna essere bravi a farli coesistere per portare a casa il risultato.
Sappiamo che hai molti altri impegni oltre al lavoro tra i filari, come fai a coniugare tutto?
Sì, sono spesso in giro per il mondo col lavoro del CPA e qui diciamo che faccio più che altro la parte della manovalanza (ride, ndr). Per questo spesso delego a Luca, perché come dice lui: «Il vino si fa in vigna e non in cantina», con la presenza quotidiana. Un’altra cosa bella è che le bottiglie che produco le dedico tutte alla mia associazione Road to Equality, e gli introiti che faccio vanno direttamente lì.
Allora parliamo di queste bottiglie. Che vini produci?
Assieme a Luca all’inizio abbiamo scelto di puntare su due prodotti, un rifermentato in bottiglia Col Fondo e un Asolo Prosecco Extra Brut. Ora punteremo quasi solo sull’Extra Brut, perché abbiamo visto che è più facile da capire rispetto all’altro, molto più di nicchia. L’obiettivo era, ed è ancora, di portare per quanto possibile l’anima di questa vigna nel bicchiere. Quindi senza aggiungere zucchero, per sentire solo la purezza della materia prima.
Come mai?
Perché nella mia vigna ci sono molte varietà di uva, tanto che neanche noi le conosciamo tutte, dovuto proprio al fatto che è molto vecchia. Cento anni fa quando si andava a comprare le piante non c’era tutta la conoscenza che c’è adesso, la scelta era solo tra quelle da bianco e da rosso. Così negli anni ne hanno piantate sì di bianco, ma di infinite qualità. Quindi il vino che produciamo è un unicum, esce solo da questa collina, perché nessun’altra ha queste caratteristiche di diversità.
E qui torna il concetto di squadra. Quante bottiglie producete e, tema tutt’altro che secondario, dove si possono comprare?
Facciamo circa 3-4 mila bottiglie, dipende dall’anno. Un’altra cosa che ho imparato è che la vigna vecchia è meno produttiva di una giovane, ma molto regolare sul lungo periodo. Come certi corridori che magari negli anni perdono lo scatto, ma migliorano nel fondo. Le nostre bottiglie di Asolo Prosecco Extra Dry saranno disponibili entro Natale nell’e-commerce di Luca e nel sito di Road to Equality.