Viaggio, sfida, avventura, fatica, panorami incredibili… Una marathon di mountain bike è in grado di portarti in luoghi che mai avresti pensato e di farti vivere emozioni che mai avresti immaginato. Di solito questi eventi si snodano in territori di particolare pregio: alta montagna, mare, parchi naturali. Tuttavia, in questo periodo storico, stanno vivendo delle difficoltà. Tanto per fare un esempio, una delle primissime marathon in Italia e in Europa, la Dolomiti Superbike, chiude i battenti.
Difficoltà legate soprattutto al calo delle partecipazioni, a una “clientela” che sta cambiando in modo repentino e si fa sempre più esigente (a tal proposito, su strada è forse ancora peggio). Eppure eventi così grandi come la Dolomiti Superbike, sul territorio, lasciano tantissimo. Arrivano quasi a identificarlo, almeno dal punto di vista di quella categoria, in questo caso quella della mountain bike.
Di questo importante argomento parliamo con Kurt Ploner, patron della gara di Villabassa, in Alta Val Pusteria, sede appunto della Dolomiti Superbike (tutte le foto di questo articolo sono fornite da DSB/SAY Agency).


La fine di un mito
Dolomiti Superbike, dicevamo. La marathon più lunga d’Italia con i suoi 123 chilometri. Da Villabassa si toccavano punti eccezionali come la selvaggia Valle di San Silvestro, il duo Monte Elmo e Croda Rossa, Baranci, la ciclabile Dobbiaco-Cortina, Prato Piazza, un panorama a 360 gradi sulle vette più belle del mondo. Persino le Tre Cime di Lavaredo.
«Si chiude – dice Ploner – una storia bellissima. Una storia di trent’anni di passione e di impegno, sempre portata avanti con entusiasmo, dagli inizi della mountain bike fino a oggi. Anche la Federazione non ci ha aiutato molto. Pensate che qualche giorno fa mi hanno chiamato per dirmi: “Guarda che se non prendi la tua solita data, poi non hai più spazio”. Pensate qual era il loro problema…».
La Dolomiti Superbike andava oltre la gara. Era l’evento di luglio per Villabassa e dintorni. Hotel, ristoranti, bike center: tutti erano coinvolti. E infatti: «Il comprensorio turistico dell’Alta Val Pusteria voleva che continuassi. Chiaramente una marathon così ha un certo impatto sul territorio».
«Negli ultimi trent’anni la mountain bike ha avuto un exploit enorme. Pensate a come gareggiavamo nel ’95, quando abbiamo fatto la prima edizione. A come tutto – bici, macchina organizzativa, stand espositivi – si sia evoluto. La gente è venuta anche per le ciclabili, le strade, il giro di Prato Piazza o quello di Baranci: anelli che forse anche grazie alla DSB oggi sono pieni di gente in bici e non solo».
Ed è questa la magia, anzi la forza concreta di un evento simile. La Dolomiti Superbike ha identificato un territorio. Per la serie: guardate che lì potete andare perché non ci sono solo le passeggiate o lo sci d’inverno, c’è anche la mountain bike d’estate.
«Ed è vero – riprende Ploner – una volta da noi la stagione della bici iniziava il 10 luglio, quando più o meno si faceva l’evento. Adesso abbiamo una stagione ciclistica quasi tutto l’anno. Magari non nei mesi centrali dell’inverno, ma da metà aprile fino a metà novembre, forse anche di più. E tanti sono stranieri. Loro mi hanno chiesto di non chiudere, di fare qualcosa. Io ci ho anche pensato. Avevo e ho qualche idea relativa al gravel. Intanto, il prossimo primo sabato di luglio, quando ci sarebbe stata la DSB, faremo un raduno spontaneo sul percorso da 85 chilometri. E finalmente anche io potrò pedalare sulle strade della DSB in compagnia». Insomma, la gara passa, il mito resta.


La gara passa, il mito resta
La gara passa, ma il mito resta sul territorio. O almeno la sua eredità, come spiegava Kurt Ploner. «La mia vittoria più bella in trent’anni di Dolomiti Superbike? Aver gestito la decima edizione, quella con la neve. Non so se Dio mi ha aiutato quel giorno, ma ho avuto il coraggio, a un certo punto, di fermare la gara. Altrimenti ci scappavano i morti. Mi ricordo ancora benissimo. Chiesi ai giudici: “Cosa facciamo? Qui nevica forte, è freddo. Ci fermiamo?”. E loro: “Noi non decidiamo, questa è una manifestazione all’aperto, ognuno deve guardare a sé stesso”. Insomma, ero solo e decisi di stoppare la gara».
Intanto gli anni passano. La macchina organizzativa cresce e con essa il territorio, dal punto di vista dei servizi per i biker. Gli hotel iniziano a proporre pacchetti dedicati. Sul sito della manifestazione c’era uno spazio specifico per gli alloggi. Lassù la ricettività è sacra e numerosa e, nonostante tutto, capitava anche di dormire a 20 chilometri dal via. L’Alta Val Pusteria viveva quei giorni per la gara.
L’idea di correre il sabato induceva poi a viaggiare con la famiglia e quindi a restare anche per la domenica, quando si disputava la Mini DSB per i bambini. Oppure si era liberi di fare una sgambata rilassante o una passeggiata con la compagna e i figli, magari tornando nel punto che più di tutti aveva emozionato durante la gara del giorno prima, scatenandosi poi con gli aneddoti.


Movimento in evoluzione
Eppure tutto ciò non è bastato a far continuare la DSB, acronimo di Dolomiti Superbike. Ci sono stati anni in cui al via si sono toccati i 5.000 partenti. Ha persino assegnato titoli iridati. Era un vero happening, come la Maratona di New York, per intenderci.
Che abbia chiuso i battenti, però, non è un caso isolato, ma la punta dell’iceberg di un sistema in crisi o comunque in difficoltà. I numeri di un tempo non ci sono più e, andando avanti, fatte le debite proporzioni, rischiano di scendere sotto la soglia vitale. Persino la Nove Colli, il più grande evento amatoriale su strada in Italia, negli ultimi anni ha quasi dimezzato i suoi finisher.
«Il perché, almeno nel nostro caso – spiega Ploner – è un insieme di fattori. Il primo è trovare qualcuno che, dopo trent’anni, prendesse il mio posto. Un erede, un giovane, o chiunque volesse metterci la faccia e assumersi la responsabilità. Io lo avrei supportato per qualche anno, ma in secondo piano. Mi sono trovato con tutti i sindaci dei cinque paesi coinvolti: Villabassa, Sesto, San Candido, Dobbiaco… ma questa figura non è mai emersa».
«Poi c’è il problema degli sponsor. Nonostante la portata del nostro evento, è sempre più difficile trovare fondi. L’Ente Turistico Val Pusteria ci avrebbe anche supportato, ma mancava l’erede appunto. E poi tante altre situazioni non favorevoli. Per ogni piccola cosa oggi rischi una denuncia o comunque ci sono continue lamentele».
E poi c’è la questione del calo dei partecipanti. I biker, ma anche gli stradisti, oggi sono attratti da altro: il gravel, le e-bike, una concezione diversa del ciclismo amatoriale, non più solo agonistico.
«A mio avviso – spiega Ploner – c’è anche meno voglia di far fatica. Un tempo la facevi da 2.500 metri di dislivello e te la chiedevano da 3.000! I giovani vogliono altro. In queste ultime edizioni guardavo le griglie al via e c’era tanta gente con i capelli bianchi».


Un brand del territorio
Immaginate un grazioso paesino delle Alpi Orientali. Un campanile, una piazza con i balconi pieni di gerani colorati che si anima di stand, striscioni d’arrivo, transenne, palco e birrerie al centro della piazza stessa. Una festa. E tutt’intorno monti e sentieri di ogni genere. Un richiamo incredibile che poi si trasformava in passaparola una volta tornati a casa. In tanti sono poi tornati per le vacanze. E altre iniziative sono nate sfruttando l’appeal della DSB. Pensiamo allo Stoneman Trail, per esempio. Altri sentieri, ma il regno restava quello della Dolomiti Superbike.
«Partire e arrivare in piazza a Villabassa – racconta Ploner – era davvero bello. Tutto era vicino, ci si muoveva a piedi, una logistica ottimale anche quando eravamo quasi cinquemila. Stavamo un po’ stretti, però era bellissimo. Abbiamo cercato di dare il massimo».
«Ancora oggi, se mi muovo in giro per l’Italia con una maglia Superbike, mi riconoscono tutti. Quello è il valore aggiunto per me. Succede sia nella vita di tutti i giorni sia quando vado ad eventi come Eroica, Nove Colli, maratone o persino in Sicilia. Ho, e abbiamo, lasciato dei segni. Spero positivi».







