In Italia esiste un enorme patrimonio cicloturistico, legato alle vecchie ferrovie dismesse. Molte di queste sono state riadattate per le biciclette, sfruttando i luoghi, l’aria aperta, il contatto con la natura. Ma molto altro si potrebbe fare, anche se non è così facile.
Le vecchie ferrovie sono un retaggio del passato. Cadute in disuso per l’affermazione progressiva della circolazione automobilistica dal dopoguerra in poi, ma anche della progressiva urbanizzazione generale del nostro territorio. Si tratta per lo più di piccole ferrovie che univano località della stessa regione, spesso gestite da compagnie private anche se la stragrande maggioranza di esse apparteneva e appartiene ancora alla Rete Ferroviaria Italiana.
Un censimento delle piste
L’opera di censimento dei percorsi è un impegno decisamente complicato. Anni fa, era il 2011, Giulia Cortesi, dirigente della Fiab scrisse un importante saggio su di esse, “Dalle rotaie alle bici” insieme a Umberto Rovaldi tracciando un bilancio dei percorsi ciclabili ricavati e di quanti se ne sarebbero ancora potuti approntare, ma da allora la situazione è decisamente cambiata.
«Sembra passato un secolo e non 13 anni. La situazione rispetto ad allora è decisamente migliorata, nel senso che molti altri percorsi sono stati ridisegnati e adeguati al passaggio delle bici e questo grazie alla sensibilità dell’ente pubblico proprietario. Nel 2022 è stato anche pubblicato un atlante delle ferrovie dismesse che ha tracciato una situazione più chiara. Resta però ancora tanto da fare».
La situazione dei percorsi ciclabili mutuati dalle vecchie ferrovie è localizzata o coinvolge tutta Italia?
Io direi che c’è movimento un po’ dappertutto. Alcuni di questi percorsi sono diventati veri e propri richiami in Italia e non solo, basti pensare al completamento della Treviso-Ostiglia oppure alla fama di cui gode la Spoleto-Norcia. In molti casi si tratta di progetti ancora in evoluzione, perché bisogna considerare che un percorso destinato a una vecchia ferrovia, per essere riconvertito necessita di fondi che non sempre gli enti locali sono disposti a investire. Considerando anche un fattore importante.
Quale?
I tracciati spesso passano anche per terreni privati e chi è proprietario, per cederli all’ente pubblico per la loro riconversione, lo fa chiedendo un prezzo di mercato. Ma se uniamo questo al costo di manodopera, di lavoro per la sua realizzazione come pista ciclabile, di manutenzione, si raggiungono cifre che non sempre ii comuni vogliono, ma più spesso possono spendere.
Come giudica in generale il comportamento degli enti locali, prescindendo dalla loro appartenenza politica: c’è interesse?
Io dico di sì, c’è una sensibilità nuova e crescente rispetto a quello che avveniva una decina di anni fa. Guardiamo il tema nel suo complesso: l’Italia sta disegnando una grande rete di piste ciclabili che interessano tutto il suo territorio e lo sta facendo a livello nazionale ma scendendo sempre più in profondità, a livello regionale e locale, quindi c’è fermento e si investe, per quanto possibile come detto prima. D’altro canto le vecchie ferrovie sono disegnate in modo da fornire qualità scenografica e difficoltà tecniche minime: le pendenze non superavano mai il 6 per cento e inoltre il sedime era sempre sopraelevato, tutti fattori che favoriscono la loro riconversione per le bici.
Quanto incide la loro spettacolarità?
Molto. Considerate che si passa molto spesso per ponti, viadotti, tunnel, chi pedala su questi percorsi ne rimane sempre suggestionato. C’è poi il capitolo stazioni e qui purtroppo è un tasto dolente.
Perché?
Facciamo un paragone con due Paesi europei che come noi hanno investito tanto sulle vecchie ferrovie come piste ciclabili: Spagna e Portogallo. Lì i progetti di mobilità attiva hanno sfruttato tutto quel che riguardava le ferrovie e quindi anche le stazioni sono state riconvertite. Pensate a questi luoghi come opportunità destinate ai ciclisti: noleggio bici in modo che prendi il mezzo in un luogo e lo lasci in un altro esattamente come si fa con le auto. Oppure bari a disposizione per il ristoro e tanto altro.
Perché da noi non avviene?
E’ molto difficile. In alcuni casi sono diventate abitazioni delle famiglie dei capostazioni, in altri sono state abbandonate e costerebbe molto rimetterle in sesto. E’ un vero peccato perché darebbero un plus importante a molti tracciati. In Spagna ad esempio alcuni stabili sono stati riconvertiti a centri d’interesse, musei che raccontano il territorio.
Come sono ripartite le vecchie ferrovie, è tutto al nord?
No, come detto un po’ tutta Italia si sta muovendo in tal senso, ad esempio in Sicilia c’è il bellissimo tracciato ai piedi dell’Etna fra Linguaglossa, Castiglione di Sicilia e Rovittello con tanti tunnel e viadotti, che è stato riaperto di recente, oppure la ciclabile da Godrano a San Carlo, nel Palermitano. O, in Calabria, il percorso della vecchia ferrovia Lagonegro-Castelluccio. E’ un mondo in continua evoluzione, tanto che si fatica a tenere dietro e monitorare tutto il complesso.
Quanto incidono anche gli eventi allestiti in esse? Un esempio in tal senso era la Vecia Ferovia de Val de Fiemme, teatro di una classica della mtb di alcuni anni fa…
Ma anche la stessa SpoletoNorcia Mtb. Hanno una forte incidenza, anche se l’uso quotidiano è legato non solo al turismo, ma al puro spostamento. Pensate ad esempio in Alto Adige quei ponti precedentemente utilizzati per le ferrovie che ora sono di collegamento ciclabile fra paesini. Molti utilizzano questi percorsi per movimento quotidiano legato al lavoro o alle esigenze famigliari. E’ importante che ogni ciclabile di una vecchia ferrovia sia collegata a una rete, quindi non bisogna pensare solo a “quel” tratto, ma anche ai raccordi. L’importante è che si sta formando una via alternativa alla circolazione, al passo con le esigenze dell’ambiente mutuando il lavoro del passato.