Da Anchorage a Nome, 1.800 chilometri in bici nel cuore dell’Alaska. Il tutto fra pochi giorni. Quindi in pieno inverno. E’ la prossima avventura di Alex Bellini, avventuriero ed esploratore di lungo corso.
Valtellinese, classe 1981, Bellini vanta tre traversate oceaniche in solitaria in barca a remi: due nel Pacifico e una nell’Atlantico. E ancora, la traversata del più grande ghiacciaio d’Europa (nel 2017) e dal 2019 al 2023 ha navigato sui fiumi più inquinati di plastica del mondo, per sollevare la questione sull’inquinamento della plastica appunto in mare.
Ora, in sella ad una particolare bici griffata Valtellina, la fatbike Impact, il cui telaio è fatto giusto di una particolare plastica riciclata, è pronto per questa nuova sfida. Una sfida che vuole essere anche e soprattutto una testimonianza sui problemi ambientali. L’Alaska è solo la prima tappa del progetto Eyes On Ice: un programma triennale corrispondente a tre aree: Alaska, Groenlandia (2025) e Oceano Artico (2026)
«Attraverso queste tre spedizioni – spiega Bellini – vogliamo proseguire il percorso cominciato anni fa con il progetto 10 Rivers, 1 Ocean, che coniuga l’empiricità dell’esplorazione alla forza della testimonianza che diventa divulgazione».
Alex, come nasce dunque questa sfida?
Le ragioni sono tante. Io sono stato in Alaska 21 anni fa e ci ho lasciato un pezzo di cuore e ci torno per questa seconda spedizione. Vado a riprendermi il pezzetto di cuore! Dal 2018 la mia attività di esploratore ha assunto anche una valenza riguardo la sensibilizzazione ambientale. Questa volta sul riscaldamento climatico, anche per questo io e il mio amico Alessandro Plona, andiamo in un territorio il cui delicato equilibrio si basa sul freddo. E infatti la spedizione sarà divulgata tramite social, comunicati stampa…
Tu vieni dai viaggi in canoa lungo i fiumi più inquinati del mondo…
E ora c’è il progetto delle terre polari. Un progetto che mi vedrà impegnato per i prossimi anni. L’idea è di andare nelle aree più vulnerabili. Attraversare quella che ritengo essere una “cerniera” tra le zone polari e sub-polari (le altre due aree sono Artico e Polo Nord, ndr) Ho scelto l’Alaska anche perché essendoci stato 21 anni fa posso fare un confronto circa i cambiamenti.
Come si diventa esploratori?
Facendolo! Non c’è una scuola o un corso. Ogni esploratore ha il suo imprinting: essere più un viaggiatore, quello che sono io, o essere più un ricercatore. Mi sono spinto verso le avventure mosso anche dalla forte passione che aveva mio papà per l’Africa. A 20 anni stavo attraversando una crisi d’identità e decisi d’intraprendere un lungo viaggio per risolvere tre fattori. I miei nodi interiori, testimoniare la transizione ecologica e poi anche le differenze culturali.
Parliamo della traccia dell’Alaska: come è nata?
Ricalca lo stesso viaggio che feci nel 2002 e che a sua volta era la traccia della mitica Iditarod, la corsa con slitte trainate dai cani. Era la vecchia via che crearono a fine Ottocento i cercatori d’oro che andavano verso Nord. Noi percorreremo strade normali e piste non battute.
Dormirete in tenda? Come vi siete organizzati?
Non abbiamo tende, ma due badili per scavare delle trune nella neve per ripararci dal freddo e dal vento. Abbiamo con noi un telefono smartphone normale e non satellitare. Ci appoggeremo parecchio alle reti Wi-fi che troveremo lungo il cammino, anche perché dobbiamo raccontare la nostra avventura. Non abbiamo un Gps, ma ci muoveremo con la “vecchia” carta geografica.
Avventura vera! Hai mai paura?
Ho spesso paura, ma quella giusta credo. C’è la paura che ti paralizza e non va bene. La paura giusta va gestita, in quel caso diventa una fedele alleata, magari per prendere delle decisioni giuste in momenti difficili.