Nelle scorse settimane la Municipalità di Amsterdam ha pubblicato i risultati del sondaggio di gradimento relativo ai primi sei mesi dell’introduzione del limite di 30 km/h per gran parte delle strade cittadine.
Una delle capitali mondiali della ciclabilità ha infatti introdotto questa novità lo scorso 8 dicembre. I risultati del sondaggio dicono che il 60% degli abitanti è favorevole (una percentuale ancora maggiore tra coloro che non possiedono un’auto). I detrattori, invece, pensano che il limite dei 30 orari sia troppo basso, che molti automobilisti non lo rispettino e che gli scooter e le biciclette elettriche vadano più veloci.
La ricerca ha anche evidenziato come ci sia stato, oltre ad una generale diminuzione delle velocità, un aumento dei tempi di percorrenza di appena il 5%. Un viaggio di 10 minuti, infatti, dura solo 30 secondi in più. Anche i mezzi pubblici hanno risentito molto poco dei nuovi limiti, con metà delle linee che hanno “perso” un solo minuto sulle precedenti tabelle di marcia.
Il nostro… infiltrato
Noi abbiamo contattato un giovane ingegnere di Rimini che da un anno e mezzo vive ad Amsterdam, per non lasciare che a descrivere il cambiamento siano solo numeri e statistiche. Si chiama Nicola Gobbi e nella città romagnola si batteva per i diritti dei Ciclisti Urbani locali.
«Con la mia fidanzata – spiega – abbiamo scelto di venire qua anche perché in Italia non ci sentivamo sicuri, né come ciclisti né come pedoni. Quando abbiamo avuto un’opportunità lavorativa, abbiamo preso la decisione di trasferirci».
La differenza, inutile dirlo, si sente: «Abbiamo girato diverse città del mondo, ma in nessun posto abbiamo visto un’attenzione ai ciclisti come qua. Non solo Amsterdam, ma l’intera Olanda. Noi ci spostiamo in bici e con i mezzi pubblici per andare a lavoro, fare la spesa o commissioni. Fondamentalmente è quello che facevamo a Rimini, ma con dietro una municipalità attenta a queste categorie di utenti».
La campagna sui social
La nuova zona 30 di Amsterdam ha riguardato la quasi totalità delle strade interne al “ring” urbano, tranne poche arterie a scorrimento veloce. Nicola spiega come è avvenuto il passaggio dell’8 dicembre.
«Noi vivevamo qui già da sei mesi – racconta – e mi ha molto colpito la campagna di informazione che è stata fatta. Sia sui social (persino su YouTube) mi compariva la pubblicità, sia sugli stessi segnali stradali. Mesi prima di svelare il nuovo limite di velocità, erano stati ricoperti con un adesivo che informava la popolazione dell’imminente cambiamento».
Nessun sorpasso
Non che prima Amsterdam non fosse sicura: «La città già aveva una rete stradale urbana costruita in modo tale che fosse difficile superare il limite dei 30: dossi ovunque, cuscini berlinesi, chicane… Ma penso anche alle strade di quartiere che sono fatte non in asfalto, ma con dei mattoni. Questi sono disposti in modo tale da sostenere il transito di un veicolo senza deformarsi ma, al tempo stesso, di provocare un rumore che aumenta progressivamente all’aumentare della velocità. Tuttavia c’erano delle strade dove tali interventi non si potevano fare e dunque si è intervenuti con il cartello del limite di 30. Penso ad una strada vicino casa che porta verso il centro e su cui insistono delle attività. Qualcuno lo rispetta e qualcuno ancora no. La grande differenza che ho trovato rispetto all’Italia è che, ad esempio, quando mi sposto in macchina a 30 all’ora e ho dietro di me qualcuno che vorrebbe andare più veloce, nessuno si permette di sorpassare».
L’amministrazione della Capitale olandese ha anche le idee chiare sul futuro: «Laddove necessario, il limite è stato rafforzato con autovelox mobili, ma già sono predisposti interventi strutturali per ridisegnare le strade. Così il limite non sarà dettato soltanto da un cartello, ma sarà fisicamente imposto dalla strada».
Un cambiamento inesorabile
In tutto ciò ci sono anche delle resistenze da affrontare: «I contrari ci sono anche qui – prosegue Nicola – soprattutto gli utenti più motorizzati che magari vivono nei quartieri periferici o per i quali l’auto è fondamentale (tassisti, Uber…). Ho visto personalmente dei segnali 30 sull’asfalto ridipinti con lo spray per fare sembrare il 3 un 8. Oppure dei cartelli smontati o divelti. Ma la grande differenza con l’Italia è che l’Olanda ha iniziato a dare spazio agli utenti più deboli da cinquant’anni e lo ha fatto a livello nazionale. Nel Paese il tasso di possesso di un’auto di proprietà è elevato (ad Amsterdam no), tuttavia l’olandese ha anche l’uso della bici culturalmente intrinseco. L’auto è una comodity, ma egli vede i benefici di una diminuzione dei limiti, vede le opere che moderano il traffico e quindi capisce che si tratta di un cambiamento inesorabile. E non si oppone.
«L’Olanda – prosegue – si è mossa in modo omogeneo sulle infrastrutture trasportistiche, e quindi anche ciclabili, a livello statale. C’è una visione sistemica che rende chiaro cosa si vuole fare con auto, mezzi pubblici, ciclisti e pedoni».
La normativa nazionale
Il paragone con l’Italia è difficilmente proponibile: «Da noi si va in ordine sparso ed anche se c’è un amministratore illuminato o un Comune virtuoso, poi spesso si trova da solo, con un Codice della Strada datato e contro la mobilità ciclabile. Invece qui ad Amsterdam la sindaca (Femke Halsema di Sinistra Verde, ndr) ha cambiato la città in maniera importante, ma ha anche avuto alle spalle una normativa nazionale chiara e a favore degli utenti deboli. Quando per lavoro mi sposto per il Paese con l’auto – conclude Nicola – vedo in tutte le città tante infrastrutture anche per gli automobilisti. Parlo dei parcheggi di scambio Park and Ride, della diffusione del car sharing, dei posteggi per il car pooling in prossimità dei caselli autostradali (le persone vanno in bici da casa al parcheggio e poi proseguono verso il posto di lavoro con altri colleghi con un’unica auto). La differenza con l’Italia è abissale».
Qui si può scaricare la ricerca completa della Municipalità di Amsterdam