Ci sono voluti giorni, per riprendersi da quella che ogni volta è un’esperienza unica, assurda, quasi mistica: allestire un evento ciclistico lungo 1.200 chilometri no stop. Questa è la 999 Tuscany Rando, la più lunga randonnée italiana che ha coinvolto tantissimi partecipanti dal mercoledì alla domenica, andando su e giù per le valli della Toscana. Paolo Marrucci, organizzatore del Giro del Granducato, ha messo a disposizione tutta la sua esperienza per allestire un evento che rappresenta una pietra miliare nel mondo delle ciclopedalate italiane.

«Eravamo alla seconda edizione – racconta l’organizzatore toscano – la prima era stata nel lontano 2017 con partenza e arrivo a Roma sviluppandosi nel Sud Italia. Forse è anche da lì che il movimento meridionale, soprattutto in Campania, si è così sviluppato, ma nel riproporre quella vecchia idea abbiamo pensato a un percorso nuovo sfruttando quelle conoscenze nel nostro territorio che abbiamo accumulato in decine d’anni. Perché la bellezza della Toscana è questa: puoi andare dappertutto e trovare cose sempre diverse…».
Cerchiamo di fare chiarezza attraverso un po’ di dati per raccontare che cos’è la 999 Tuscany Rando…
Bene, siamo partiti al mercoledì alle 17 con i partecipanti divisi in piccoli gruppi che scattavano ogni 5 minuti. La conclusione era prevista alla domenica alle 21,30, quando è arrivata l’ultima partecipante, una ciclista russa. A tal proposito, per far capire la rinomanza dell’evento abbiamo avuto ciclisti provenienti da ben 27 Nazioni oltre all’Italia.
Qual è stata la parte più difficile?
Molti potrebbero pensare che riguardi questi 4 giorni, ma non è così. E’ stato tutto il “prima”, la costruzione del percorso, sufficientemente lungo per rientrare nella categoria delle maxi randonnée ma con un dislivello ancora accettabile. Il primo disegno prevedeva addirittura 21.000 metri di dislivello per 2.000 chilometri, decisamente troppo. Abbiamo dovuto lavorare di cesello, girando la regione settimana dopo settimana, costruendo con pazienza il tracciato fino a scendere a 1.200 chilometri e 15.400 metri. Ci sono voluti molti mesi, c’era chi girava in bici, io ho fatto tanti chilometri in auto per trovare i passaggi giusti spendendo un bel po’ di tasca mia.
Avete toccato tutte le province?
Praticamente sì, l’unico territorio nel quale siamo entrati solo di striscio è stata la Garfagnana, nell’estremo nord, ma non c’era modo di fare altrimenti. Il nostro evento rientrava in 2 brevetti, quelli delle 96 e 100 ore, quest’ultimo internazionale.
Quanta gente ha lavorato per la sua realizzazione?
Era un evento troppo grande per essere gestito da un solo team. Siamo stati bravi a mettere insieme ben 7 società, ognuna di una zona diversa, che hanno lavorato in perfetto accordo e questo non è scontato. Abbiamo lavorato su ogni aspetto, puntando innanzitutto ai 19 check point previsti che sono fondamentali. Proprio grazie alle società abbiamo gestito bene ristori e dormitori che erano sempre aperti. In totale, proprio per la parte logistica, erano impegnate oltre 200 persone.
Non era un evento agonistico, ma com’è stato interpretato?
C’è stato chi ha cercato di tirare dritto il più possibile, chi si prendeva pochi minuti di riposo nei vari check point (ci sono stati 6-7 stakanovisti che hanno impiegato 68 ore…) ma la maggior parte ha affrontato l’evento con i giusti tempi. La cosa più bella, a mio parere è stata vedere tanti arrivare al traguardo letteralmente distrutti, ma sul loro viso si leggeva chiaramente la gioia pura dell’aver completato la propria fatica.
Il tempo vi ha aiutato?
Per fortuna sì, la scelta del periodo è stata ideale, solo al venerdì i corridori hanno trovato vento contrario scendendo verso l’Argentario. Di notte la maggior parte ha scelto di pedalare dopo brevi soste per sfruttare le temperature più miti, ma anche per godersi il paesaggio dell’alba, uno spettacolo unico.
Eventi come questo sono un agglomerato di storie: chi ti è rimasto impresso?
E’ verissimo, anzi potrei dire che ognuno dei partecipanti aveva tanto da raccontare. C’è chi si ferma in tutti i check point e borbotta che questo o quello non va bene; chi non fa altro che dire «mi ritiro» e poi non lo fa mai. A me è rimasto impresso un ciclista estero che si è fermato per una notte intera, poi si è alzato di buon mattino e si è fatto un giorno e mezzo di pedalata per arrivare… E’ la dimostrazione chiara di chi è l’ultra randonneur, un ciclista (o una, ce n’erano tante di donne impegnate) che affronta questo impegno con la testa, perché è quella e solo quella che ti porta al traguardo…