UDINE – Eccoci qui con la terza parte del nostro approfondimento sulle meraviglie ciclo-paesaggistico-turistico-enogastronomiche del Friuli Venezia Giulia. Incredibile come una Regione così piccola possa offrire tanti spunti. Eppure è così, e non solo perché dobbiamo sdebitarci dell’accoglienza riservataci del team dell’FVG Bike Trail. Anche, forse, ma non solo.
Oggi allora ci focalizzeremo sull’aspetto enogastronomico di questa multiforme terra di confine (in apertura un’immagine di andraphoto58-Fotolia).
La contesa del tiramisu
Come già accennato nella prima puntata di questa serie, quelle vecchie volpi dell’FVG Bike Trail ci hanno fatto trovare in camera due bottiglie di vino locale dell’ancor più locale Cantina Spolert. Una di Ribolla Gialla (bianco, per i non addetti ai lavori) e una di Schioppettino (rosso, sempre per gli astemi). Vini che abbiamo poi bevuto la sera stessa durante la cena, quando un giovane sommelier della sopraddetta cantina ce li ha versati e raccontati, assieme alla storia dell’azienda.
Che dire, buoni. Chi scrive generalmente preferisce il rosso al bianco, ma è più o meno tutto quello che riesce a dire in materia vitivinicola. Usando una metafora ciclistica, è un po’ come far provare un cambio Ultegra ad uno abituato al Claris. Magari percepisce la differenza a grandi linee, ma per apprezzare davvero le sfumature occorrono palati più raffinati.
Alla fine della cena – risotto con crema di zucchine mantecato allo stravecchio e tacchinella marinata agli agrumi su crema di piselli – è stato servito il tiramisù fatto in casa. Di questo, al contrario, chi scrive ha l’ardire di ritenersi un discreto esperto. La maggior parte del mondo sostiene che questo dolce sia stato inventato in Veneto, ma i friulani da anni ne rivendicano con orgoglio la paternità. Sia come sia, dopo aver assaggiato il tiramisù preparato alla Casa della Contadinanza di Udine, quasi quasi tifo per loro.
La casa del prosciutto
Il giorno successivo siamo arrivati a San Daniele dove, non ci crederete, il grande protagonista è stato l’omonimo prosciutto. Abbiamo visitato una delle aziende del Consorzio che lo produce e il proprietario ci ha mostrato l’intera lavorazione del prodotto. (Gli amici vegetariani, di cui chi scrive ha il massimo rispetto, sono autorizzati a saltare le prossime righe).
La zona in cui arrivano le cosce di maiale, tutte rigorosamente italiane. Quella dove vengono massaggiate e poi salate. Quindi le celle in cui sono lasciate a riposare per circa tre mesi distese in orizzontale, in modo che il sale, anch’esso di provenienza esclusivamente nazionale, si assorba nel migliore dei modi.
Poi altre celle con diverse temperature in cui le cosce maturano, questa volta in verticale, prima di essere stuccate a mano. In pratica viene applicata una mistura di farina di riso e di grasso, fondamentale per proteggere la parte della coscia esposta all’aria.
«Una volta – ci hanno spiegato – era un lavoro che facevano le donne del paese. Adesso, come spesso accade per questo genere di mansioni, abbiamo più che altro lavoratrici straniere».
Il gusto degli anglosassoni
I prosciuttifici del paese sono costruiti tenendo conto della direzione delle correnti d’aria. Quelle montane e quelle marine, che proprio qui sulle colline si incontrano, dando vita ad un microclima particolarissimo che è poi il vero segreto del prodotto. Dopo 16-22 mesi di stagionatura (aprendo di tanto in tanto le lunghe finestre verticali a favore delle correnti d’aria), il prosciutto è pronto per essere marchiato a fuoco con il sigillo del Consorzio. E poi viene immesso nei mercati di tutto il mondo.
Piccolo aneddoto, forse sconosciuto ai più. Durante la visita abbiamo visto alcune cosce prive della parte finale della zampa. Il nostro Virgilio ci ha spiegato che sono quelle destinate ai paesi anglosassoni d’oltreoceano, Stati Uniti, Canada, Australia. Da quelle parti, ci ha detto, per qualche motivo preferiscono così.
La cena di quel giorno è stata offerta dal Consorzio del Prosciutto San Daniele. Quindi: antipasto con vassoiate di San Daniele e selezione di formaggi del territorio. Come primo un risotto alle pesche e tocchetti di San Daniele mantecato al Sauvignon e Parmigiano.
Il pranzo a Venzone
Il terzo giorno la traccia ci ha portati verso Nord a lambire la Carnia. E l’ultimo incontro con le meraviglie enogastronomiche friulane è stato un pranzo nel borgo di Venzone, arrivato dopo due ore di pedalata sotto un temporale monsonico.
Il Friuli Venezia Giulia ha molte anime e una delle bellezze dell’FVG Bike Trail è che permette di scoprirle tutte, mare compreso. Però, dovendo scegliere un ricordo di quell’esperienza, scelgo questo.
Fuori il diluvio, le montagne scure tutto attorno, il Tagliamento a portare a valle le prime acque dal profumo autunnale. Noi, al riparo della Locanda al Municipio, dove ci siamo salutati con un piatto di çiarsons (i ravioli di grano o patate con ripieno a volte dolce a volte salato – nel nostro caso un’ottima via di mezzo), frico con polenta e vino rosso della casa. God bless FVG.
Il FVG Bike Trail è un evento gravel unsupported che tra il 19 e il 21 settembre si terrà in Friuli Venezia Giulia, con partenza e arrivo a Villa Manin (a Passariano di Codroipo).
NEGLI ARTICOLI PRECEDENTI
FVG Bike Trail, racconto di un’organizzatissima press ride
FVG Bike Trail, due percorsi nel cuore (e ai confini) del Friuli