Kevin Ferrari, un ragazzo come tanti, appassionato di motori, studente. Un giorno, a 18 anni, la sua vita cambia completamente. Un incidente con la moto da enduro, uno schianto con conseguenze gravissime. Una gamba frantumata, i medici sono costretti all’amputazione. La sua vita riparte, ma quella disabilità diventa la sua forza. Si rialza, in senso figurato e non, e qualche tempo dopo si approccia alla bicicletta.
«Mi dicevano che con una gamba sola non sarei mai riuscito a pedalare, invece con costanza e pazienza non solo l’ho fatto, ma la bici è diventata compagna delle mie avventure. Erano passati 7 anni dall’incidente, 7 anni di scetticismo da parte di chi mi era intorno. Volevo andare oltre, volevo sfidare me stesso. Un giorno sono entrato in un negozio dicendo che volevo provare una bici. Il negoziante era incredulo, ma mi ha incoraggiato. Ho iniziato a pedalare lì intorno e pedalo ancora oggi….
Il senso della libertà
«Con la bici ho iniziato ad andare in posti che avevo visto e conosciuto in auto e li scoprivo, vedevo cose che mi erano completamente sfuggite, sfruttavo tutti i miei sensi. La bici mi ha regalato una seconda vita. Mi ha restituito il senso di libertà. Mi ha anche unito ancor di più alla mia compagna, Silvia. Lei andava in mtb, io su strada e di offroad non volevo sentir parlare, ma poi mi ha convinto e ora non tornerei indietro».
Pian piano Kevin ha iniziato a sfruttare la bici anche per viaggi lunghi. La Via Francigena: «Da Siena fino a Roma, con sosta davanti al Colosseo». Il Tuscany Trail. «Ma quello che più mi è rimasto nel cuore è il Grand Tour des Combins. Dalla Val d’Aosta alla Svizzera e ritorno: si parte da Saint Remy fino a Mauvoisin, si sosta ai 2.500 metri del Rifugio Cabane de Mille, poi si torna indietro scalando il Gran San Bernardo. Sono 120 chilometri con un dislivello di quasi 5.000 metri. Ci sono punti che era praticamente impossibile affrontare in bici e così Silvia portava su le due mtb, io salivo con le stampelle».
Tra paura ed esaltazione
Nel raccontare quest’avventura, Ferrari sottolinea un aspetto importante: «Alla vigilia di qualsiasi impresa, sono preda delle mie paure e quando mi proposero quel viaggio ero molto riluttante. Ma dall’altra parte ero anche gasato per quel che mi attendeva. Così ci siamo programmati tutto e siamo partiti. Ma era un viaggio verso l’ignoto, ad esempio sul Col Fenetre de Durand, uno dei passi da affrontare era previsto temporale e per me era un pericolo in più, perché le stampelle pieghevoli poste nello zaino fanno da parafulmine…
«Il bello di queste avventure è dato anche da chi incontri. Mentre avanzavamo a fatica, ho trovato un ragazzo con la figlia che veniva incontro. Ho accelerato e spinto al massimo per raggiungerlo e chiedergli se poteva portarmi la bici in cima, perché pedalando non ce l’avrei fatta. Grazie al suo aiuto abbiamo scollinato con due ore di anticipo sul temporale. Pericolo scampato».
Una sera, sotto la Via Lattea…
Quel viaggio era ricco di spunti, di luoghi che gli sono rimasti nel cuore: «Ad esempio la diga sul Lac de Mauvoisin, fantastica da vedere e che merita anche una visita con i suoi tantissimi torrenti e fiumi che immettono acqua nel bacino artificiale. Oppure la stessa Cabane de Mille, dove alla sera abbiamo ammirato la Via Lattea nel cielo come raramente ci è capitato».
Ferrari ha voluto trasportare in queste avventure anche quello che è il suo mondo. Laureato in ingegneria ambientale, è molto attento in quello che porta con sé: «Siamo diventati sempre più selettivi, sfruttando ogni centimetro possibile delle borse che portiamo sulle bici o come zaini. Portiamo quel che serve per stare in tenda, mentre per mangiare spesso ci rivolgiamo a quel che troviamo nei posti e questo ci consente anche di conoscere un po’ di più i territori che attraversiamo. Spesso ci si dimentica che il cibo ci racconta il luogo dove siamo: è cultura, passione. E merita ossequioso rispetto».
L’insegnamento dell’incidente
L’incidente fa sempre parte della sua vita: «Mi ha insegnato a capire i veri valori, quel che conta davvero. Mi ha dato autostima e la voglia di andare sempre oltre i miei limiti. Non andavo in bici, mi dicevano che era impossibile. Ora mi dicono che è impossibile tornare in moto, ma io ci ho già provato e ci sono riuscito e voglio comprarmi una moto da cross. Ma la cosa più importante è il profondo cambiamento che ho vissuto: che cosa, della vita che ho adesso, avrei avuto? Mi sarei laureato? Avrei fatto sport io che ero un ragazzo sedentario? Avrei anche avuto il coraggio di rendermi indipendente, lasciare la famiglia, mettermi in discussione?».
Da qualche tempo le sue imprese le condivide su Youtube e questo modo di comunicare l’ha portato a contatto con tanta gente, non tutti con disabilità: «Io vorrei che si capisse che essere nelle mie condizioni è un semplice particolare, trascurabile. Per quel che faccio non sono un eroe da mitizzare e neanche essere giudicato inferiore solo perché ho un arto in meno. Nel mio canale mi capita spesso di offrire consigli, pratici e no, quel che conta è che bisogna pensare che ogni difficoltà è superabile e si può fare da soli o con l’aiuto di altre persone. Io ho trovato molti amici lungo la strada, amici veri».
Ad agosto verso Santiago
Ora la sua agenda d’impegni è ancora fittissima. Il weekend di Pasqua lo vede in Romagna, il 20 aprile partirà per un Tour in Puglia, a maggio tornerà al vecchio amore del Tuscany Trail, ad agosto il grande appuntamento sognato da una vita: il Cammino di Santiago. Intanto prende corpo un’altra impresa: da qualche tempo il trentino è entrato nel mirino della nazionale paralimpica, potremmo anche vederlo in gara a Los Angeles 2028. Perché la vita di Kevin Ferrari è una continua scoperta…