Tra i vari incontri in programma al BAM! 2025, uno proprio non volevamo perdercelo. Era quello in cui Dario Franchi avrebbe raccontato il suo viaggio da Firenze al Sudafrica, fatto a 19 anni. A quanto pare non è stata solo una nostra idea perché sotto il tendone centrale c’era il pienone. Tra il pubblico anche Dino Lanzaretti, una specie di guru nel mondo dei cicloviaggiatori. Il tendone è gremito e siamo seduti in fondo. Non c’è palco, quindi più che vedere il protagonista lo intuiamo tra la folla.
Verso l’ignoto (e ritorno)
Ad intervistare Franchi c’è un altro ragazzo, anche lui molto giovane (anche se non così tanto giovane). Si capisce che sono amici e questo rende l’ambiente familiare. Il giovane intervistatore accompagna nel racconto il giovanissimo intervistato, che non sembrerebbe essere, di suo, di molte parole. Cosa che rende quello che dice ancora più denso, ancora più intenso. Dario Franchi è partito da Firenze nell’ottobre del 2022 assieme ad un suo grande amico, Oliver, subito dopo aver finito le superiori. Non avevano idee di cosa fare nell’immediato futuro, avevano solo molto tempo e tanta voglia di avventura.
«Era il viaggio che sognavamo, perché l’Africa per noi rappresentava l’ignoto – ha detto Franchi – per questo abbiamo scelto di attraversare il Continente lungo la costa ovest, quella che quasi nessuno sceglie perché è la più pericolosa e la più complicata».
I due amici non avevano mai fatto un viaggio in bicicletta in vita loro, per cui l’Europa è stato il rodaggio. Dalla Spagna hanno messo le loro vecchie mtb («roba che varrà massimo 150 euro», dice l’intervistatore) sul traghetto per il Marocco e la loro avventura africana è cominciata. Hanno pedalato nel deserto marocchino, sono saliti sul treno del ferro in Mauritania, hanno attraversato il Senegal e poi in Guinea si sono dovuti fermare.
Dopo 6 mesi di viaggio i loro visti erano scaduti, le bici rotte, i confini che dovevano attraversare chiusi. Avevano pochissimi soldi, ma tantissimo tempo, quindi per qualche giorno hanno cercato di farsi dare un passaggio da qualche nave in partenza per il Sudamerica, e ricominciare il loro viaggio da lì. Ma i problemi burocratici hanno lasciato loro spazio solo per una decisione: fare i bagagli, prendere un aereo e tornare a casa.
Un sogno appeso
Ma il sogno era rimasto lì appeso. «Anche perché la parte davvero selvaggia iniziava da dove avevamo lasciato», racconta Dario alla platea, immobile ad ascoltarlo nonostante il caldo di giugno. Tornato in Italia ha lavorato in rifugio nelle Dolomiti, ha studiato, si è informato da quei pochi che erano passati in bici da quelle parti, ha studiato, si è costruito assieme ad un amico meccanico una bicicletta più robusta. Finché ad agosto 2024 è ripartito, stavolta da solo.
Ha scelto di riprendere dal Senegal (cioè circa 1.500 km più a nord di dove aveva lasciato), per godersi meglio la Guinea che la prima volta non aveva visto come avrebbe voluto. Ha scelto di arrivare lì nella stagione delle piogge, perché voleva vedere com’era pedalare su delle strade sterrate in balia dell’acqua. La Nigeria era la parte che temeva di più, un Paese che in pochissimi avevano attraversato in bicicletta.
Domanda: «Mai pensato di rinunciarci e fare un altro giro?». Risposta: «Mai davvero, perché anche quella, essendo una sfida complicata, era il massimo dell’avventura, quindi irresistibile». E’ rimasto nelle foreste del Congo per un mese, dormendo in tenda nella giungla. Domanda: «Non avevi paura degli animali selvatici?». Risposta: «Gli animali non mi hanno mai dato problemi, neanche nella savana. Se non gli dai noia, si fanno i fatti loro».
Un applauso lungo 22mila km
Finché, Dario Franchi da Firenze, in Sudafrica, anzi a Capo Agulhas, il punto più a sud del continente, ci è arrivato davvero, dopo 22mila km in bicicletta, 13mila dei quali in solitaria. Alla fine tutti (anche Dino Lanzaretti) applaudono, ed è un applauso che va avanti per un bel po’ di tempo.
Quell’applauso è un omaggio ad un viaggio in purezza, all’incoscienza e al coraggio, all’ostinazione di inseguire una visione solo perché si ha voglia di farlo. Cose che forse vengono più facili quando si ha 19 anni. Ma che, a quanto pare, da quell’applauso di tutta la gente che è rimasta un’ora immobile ad ascoltare, vorremmo essere capaci di fare almeno una volta un po’ tutti.