La bici, purtroppo, non è fatta solo di belle pedalate e paesaggi mozzafiato. Anche se raramente, può capitare di cadere e farsi male. Fra gli infortuni più comuni c’è la frattura del polso, un’articolazione molto complessa composta da ossa, tendini e legamenti, e fondamentale per i ciclisti visto che rappresenta uno dei tre punti d’appoggio sul manubrio.
Come spesso facciamo in questi casi, abbiamo parlato del recupero da questo tipo di trauma con il dottor Maurizio Radi, responsabile di Fisioradi Medical Center, struttura di riabilitazione avanzata con sede a Pesaro, specializzata nella fisioterapia post-traumatica e nel recupero degli sportivi (in apertura foto Stepsalute).

Dottor Radi, quanto è delicato il recupero da una frattura al polso per un ciclista?
E’ tutto sempre delicato. Bisogna prima capire di che frattura si tratta: una frattura dello scafoide, dell’epifisi distale del radio o dell’ulna? E soprattutto: è composta o scomposta? Nel primo caso si procede in modo conservativo, nel secondo spesso si deve intervenire chirurgicamente. Questo fa molta differenza per i tempi e le modalità della riabilitazione.
Partiamo dal caso di una frattura composta. Come si gestisce?
Dopo la diagnosi tramite radiografia e, spesso, anche una TAC per avere un quadro più chiaro, lo specialista decide come procedere. Oggi si usano molto i tutori termoplastici, che sono sagomati sul polso del paziente e consentono spesso di evitare il gesso. Dopo un primo periodo di riposo, si ripetono i controlli radiografici per assicurarsi che la frattura sia stabile. A quel punto si può iniziare con la magnetoterapia e la fisioterapia.
Si può già tornare a pedalare?
Sì, grazie al tutore personalizzato si può pedalare anche da subito, chiaramente senza forzare. In base al tipo di frattura, lo specialista può autorizzare l’utilizzo della bici sui rulli. Questo consente all’atleta di mantenere una condizione fisica accettabile e accorcia i tempi per tornare alle gare. Un professionista è seguito da vicino su alimentazione, integrazione e terapie. Per questo spesso recuperano più in fretta. Ma anche un ciclista amatoriale, se seguito bene, può fare un recupero ottimale. Il trattamento precoce e personalizzato è la chiave. E’ importante non fermarsi del tutto, e fare da subito tutto quello che può aiutare la frattura ossea a consolidare.
In termini pratici, quanto tempo serve per un recupero completo?
Nel caso di fratture composte, un atleta può tornare ad allenarsi nel giro di un mese. A volte professionisti o triathleti usano la bici da crono sui rulli per ridurre la pressione sul polso. Appoggiandosi con gli avambracci, si riesce a pedalare anche a pochi giorni dal trauma. Ovviamente tutto questo va fatto con un tutore che immobilizza il polso.
Invece per una frattura scomposta, cosa cambia?
Se la frattura è scomposta, si va quasi sempre verso un intervento chirurgico. Se la frattura interessa l’epifisi del radio o dell’ulna, si inserisce una placca. Se invece è lo scafoide, si mette una vite. Quest’ultima opzione ha tempi di recupero più rapidi. Quando si mette una placca, invece, i tempi si allungano perché la frattura è più complessa e serve maggiore cautela.
Ha accennato all’integrazione: quanto incide l’alimentazione sulla guarigione?
E’ fondamentale. Gli atleti, seguiti da nutrizionisti, di solito hanno buoni livelli di vitamina D e calcio, che sono essenziali per la salute ossea. I pazienti “normali” spesso presentano carenze, e questo rallenta il processo di guarigione. Ecco perché curare l’alimentazione è importante tanto quanto la fisioterapia.
Una conseguenza comune delle fratture al braccio è il gonfiore. Anche il polso porta con sé questo problema?
Sì, può succedere. Il vantaggio dei tutori rispetto al gesso è che permettono un accesso immediato alla fisioterapia. Se c’è gonfiore, possiamo intervenire subito con linfodrenaggio, tecarterapia e altre terapie strumentali. In questo modo riduciamo l’infiammazione e preveniamo la rigidità. Una volta il gonfiore si trattava dopo la rimozione del gesso: oggi interveniamo da subito.
Cosa fate concretamente nel vostro centro per il recupero del polso?
Nel nostro centro togliamo il tutore e iniziamo fin da subito con fisioterapia strumentale per ridurre l’infiammazione ed il gonfiore associato a linfodrenaggio manuale. Così, quando la frattura è consolidata, il polso è già sgonfio e pronto per il recupero del movimento. Con i tutori termoplastici lasciamo libere le dita, che il paziente può muovere e questo riduce le rigidità. Poi si valuta la muscolatura e si lavora sul rinforzo muscolare.
Quali sono gli esercizi più utili per la riabilitazione?
Iniziamo con palline morbide, elastici, piccoli pesi. Si lavora su flessori, estensori, pronosupinatori dell’avambraccio. Poi si prosegue fino alla spalla, perché è tutta la catena cinetica superiore a essere coinvolta nella guida della bici. Il ciclista deve poter controllare bene la bici, specialmente in discesa.
Dopo il recupero della frattura ossea dobbiamo valutare anche altre strutture, tipo quelle tendinee, cartilaginee o legamentose?
Sì, quando tutto sembra risolto ma resta dolore o fastidio, può esserci una lesione cartilaginea o legamentosa. In questi casi si fa una risonanza magnetica per escludere lesioni al complesso fibrocartilagineo triangolare, che si trova sul lato ulnare del polso. Se c’è una lesione, può essere necessario un intervento chirurgico. Ma si tratta di una complicanza, non della normalità.
Quindi potrebbe anche non esserci questa complicanza?
Assolutamente sì. Se tutto va bene, la frattura si consolida, il gonfiore si riassorbe e la mobilità torna normale. Ma è importante monitorare i segnali. Se il dolore persiste, bisogna fare ulteriori esami per escludere lesioni secondarie. In ogni caso, un recupero personalizzato e precoce è la miglior garanzia per tornare in sella senza strascichi.