Fare sport fa sempre bene: vero o falso? Il tema è stato ieri sera il centro di una diretta sul nostro profilo Instagram, con Manuella Crini e Fabio Oliveri nei panni di intervistati con tante cose da dire e insegnare.
Lei è psicologa clinica e forense: più volte in passato abbiamo affrontato insieme tematiche come i disturbi alimentari, la gestione dell’ansia nella prestazione sportiva, la paura successiva a traumi sportivi e tanti altri temi. Fabio è massoterapeuta e personal trainer e tocca con mano ciò che lo sport produce, nel bene e non solo, sulle persone che lo praticano.
Dopo la diretta li abbiamo coinvolti in un’intervista doppia, in cui abbiamo chiesto loro di rispondere alla stessa domanda secondo il proprio punto di vista. La premessa è di Manuella Crini.
«Spesso collaboriamo nel supporto con le persone che entrambi seguiamo. Da anni abbiamo il progetto di rendere contestuale l’analisi psicologica al trattamento massoterapico. Stimolare il corpo aiuta anche la mente a liberare i nodi. Spesso siamo riusciti a fare trattamenti consequenziali, iniziando dal corpo e finendo nell’analisi».
Che nesso esiste, se esiste, tra fatica e benessere? C’è un punto oltre il quale la fatica diventa eccessiva e quindi con componenti di dolore?
MANUELLA CRINI: «Sì e il confine è una soglia personale. Quando lo sforzo va oltre e si prova dolore, il benessere psicologico non è un risultato che si ottiene. Anzi, se immaginiamo di non riuscire in qualunque obiettivo sportivo ci siamo posti, faticando tantissimo senza ottenere dal nostro corpo quello che gli stiamo chiedendo, sviluppiamo delusione. La delusione non dà benessere, ma bisogna essere consapevoli dei propri confini. Non parlo del risultato di una gara, ma di qualunque obiettivo ci poniamo.
«Come al solito interviene sempre la storia di vita di ciascuno a fornire la chiave di lettura. Più in generale, se la fatica è eccessiva, il corpo accusa il colpo e la mente non può che affaticarsi con lui. Se ci affatichiamo per un tempo breve, possiamo sentirci stanchi, poco atti alla concentrazione e demotivati, ma riusciamo più velocemente a recuperare e riprendere la strada del nostro benessere. Se superiamo un tempo di circa un mese, rischiamo l’ossidazione e il recupero diventa difficile».
FABIO OLIVERI: «Quando iniziamo a muoverci, produciamo endorfine. L’uomo nella sua storia filogenetica, da quadrupede a bipede è sempre stato cacciatore e si è sempre dovuto muovere per sopravvivere e mandare avanti la specie. Soltanto negli ultimi 20/30 anni con l’evoluzione tecnologica e servizi sempre più online, i lavori sono diventati meno usuranti e facciamo meno fatica. Ugualmente abbiamo bisogno di muoverci per lavorare sul corpo, sull’apparato circolatorio, il sistema linfatico e far lavorare il nostro metabolismo. Nel movimento ci eccitiamo con le endorfine, che combattono lo stress della vita quotidiana e ci permettono di scaricare la tensione e rilassarci».
L’attività sportiva è in grado di drenare la fatica mentale?
MANUELLA CRINI: «La fatica mentale è data da diversi fattori. Perdite, lutti, momenti traumatici, stress da lavoro, sonno maltrattato, stress nella gestione della famiglia. Se a questa faccia mentale, aggiungiamo fatica fisica, così come l’abbiamo definita, non otteniamo buoni risultati. Ma se alla fatica mentale accostiamo uno sport leggero, un allenamento ben fatto, rimanendo nella nostra comfort zone, riusciamo a produrre le endorfine e la serotonina che possono aiutarci ad alleviare anche la fatica mentale. Il problema però si può porre se l’affaticamento mentale appiattisce e azzera le energie e ci rende un tutt’uno con il divano.
«Se siamo già immersi nello sport, diventa più semplice rimanere nella routine anche con bassa motivazione. Il supporto di un coach ci può aiutare a restare nelle nostre abitudini. Un allenamento costante e ben fatto, che tenga conto anche dei momenti difficili della nostra vita, è un buon drenante anche per la fatica mentale. Permette di mantenere la giusta concentrazione e l’orientamento all’obiettivo, che tengono insieme i pezzi di una mente che sta attraversando una difficoltà. Nella mia pratica clinica, domando sempre se la persona fa uno sport. E laddove non si stia facendo sport (ovviamente non nel caso dei disturbi alimentari, dove la situazione è più delicata), consiglio sempre di iniziare anche quel percorso. Così come una sana alimentazione, rimandando a professionisti diversi, in modo da agire su tutto l’individuo e non solo un pezzo».
FABIO OLIVERI: «Lo sport fatto a livello amatoriale e l’attività fisica, dove non ci sono troppe ambizioni e troppi stress, va sicuramente a drenare la fatica mentale. In quasi tutti gli sport, c’è una distensione della mente grazie alla quale possiamo abbandonare tanti pensieri negativi e lo stress. Quando aggiungiamo il carico mentale dello sport ad alti livelli – dove ci sono adrenalina, fatica e tanto da sopportare – c’è bisogno di un buon supporto, perché il drenaggio mentale diventa indubbiamente più complesso».
Le problematiche della vita di tutti i giorni influiscono sulla pratica sportiva?
MANUELLA CRINI: «Tutto quello che di brutto ci accompagna può influire negativamente sulla concentrazione e sulla motivazione. Di conseguenza inficia la prestazione sportiva, non dando di conseguenza la dopamina necessaria per uscire dal circolo vizioso. E’ necessario creare una bolla libera dalle influenze della vita quotidiana per essere sereni nella bolla stessa. Mindfulness e meditazione entrano allora prepotentemente nel nostro circolo vizioso e dovrebbero essere praticate con costanza, per sostenere il benessere psicologico anche nei momenti down».
FABIO OLIVERI: «Le problematiche sono tante, dal compagno che ti prende in giro, alla fidanzata che ti pressa per vedersi. Diventa difficile ritagliarsi il tempo per fare attività sportiva. Anche i costi incidono anche nella vita di chi non fa sport ad alto livello. Il lato economico può essere una grossa barriera».
Esiste un modo negativo di fare sport?
MANUELLA CRINI: «Sport negativo mi piace come definizione! Penso di sì. Quando non abbiamo idea di quello che ci portiamo addosso, possiamo perdere anche il confine corporeo e mettere tutto sotto stress. Lo sport può diventare una sorta di valvola di sfogo che ci distrae dall’affrontare quello che nella vita ci disturba, ma in alcuni casi diventa anche ossessione. Ricordo il caso di un ragazzo eccessivamente preoccupato per la definizione del suo corpo. Aveva riversato su questo tutte le sue ansie e non riusciva ad affrontare quello che veramente lo bloccava nella vita di tutti i giorni».
FABIO OLIVERI: «Fare sport diventa negativo quando ti condiziona troppo a livello psicologico e diventa unica ragione di vita, sbilanciando la quotidianità. L’attività sportiva in una giornata storta aiuta a staccare la spina da tutto e ci rilassa, ma non deve diventare invadente anche in termini di tempo dedicato».
Praticare sport di gruppo rende più propensi alla socialità?
MANUELLA CRINI: «Lo sport di gruppo è un momento in cui agiamo con la nostra parte cooperativa, mettiamo all’angolo l’egoismo e permettiamo al gruppo di emergere sopra al singolo. Si diventa un’entità unica, in cui il nostro sforzo risuona insieme a quello dell’altro creando un’armonia. In età adolescenziale è una messa alla prova delle nostre competenze sociali ed emotive, in cui posso apprendere nuove modalità di gestione comportamentali delle emozioni. L’emozione è un fatto biologico: arriva, la vivo, ma come mi comporto quando arriva. E’ qualcosa che apprendo: non solo dalla famiglia, ma anche dato quello che vivo.
«Nel gruppo posso imparare a manifestare la rabbia, il conflitto, la ricerca di soluzioni. In età adulta è un modo per conoscere me stesso in un contesto diverso. La forza dell’apprendimento nell’adulto tende a scemare e si irrigidisce. Diventa più complesso cambiare gli schemi di comportamento, ma la forza del gruppo può essere tale da riuscire a modificare anche modalità di azione radicate. E renderci anche più sociali e socievoli!».
FABIO OLIVERI: «Praticare sport in gruppo è un modo per socializzare, confrontarsi e crescere insieme e avere quella sana competizione. Anche nei ragazzi giovani, trovarsi senza i genitori che costantemente “proteggono” è una buona sfida. Inoltre vengono insegnate anche regole che possono essere usate nella società di tutti i giorni. Regole sane. L’allenatore ha un ruolo chiave nello sport di gruppo. Il maestro deve sapere comunque chi ha davanti e conoscere i ragazzi cercando di mantenere un clima bilanciato e senza preferenze. Deve saper gestire la competizione in modo non eccessivo ed eccessivamente negativo. Il gruppo va mantenuto coeso e si deve imparare a perdere e non solo a vincere. Due teste, sono meglio di una».