| 18 Novembre 2024

EDITORIALE / L’apartheid culturale che divide le auto dalle bici

Un miliardo e 640 milioni di euro fra il 2025 e il 2026. A tanto, stando alle dichiarazioni di Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, ammonterebbe lo stanziamento del Governo per il comparto auto. Il calcolo comprenderebbe i 200 milioni da inserire nella prossima Finanziaria, i 240 rimasti dai precedenti piani sull’Ecobonus, più i 500 milioni per i contratti di sviluppo nei settori di transizione, a cominciare dall’auto, che potrebbero raddoppiare dopo un confronto con la Commissione europea. Il tutto dopo che il presidente di Stellantis, John Elkann, ha rifiutato di riferire in Parlamento sulla situazione del suo gruppo, ritenendo che avesse detto tutto a ottobre l’Amministratore delegato Carlos Tavares.

Certo fa una certa impressione vedere lo stato di abbandono in cui versano le strutture produttive di Mirafiori e ascoltare le storie di cassa integrazione dei suoi dipendenti. Eppure, quando qualcuno si chiede come mai in Italia non ci siano alternative alle auto, alle autostrade e ai camion, difficilmente si va indietro ai provvedimenti grazie ai quali si è permesso alla famiglia Agnelli di oscurare tutto il resto. Hanno dato lavoro a mezza Italia, portando al Nord generazioni di famiglie meridionali, ma lo hanno fatto guidando nella sola direzione che conoscevano: quella del proprio profitto. Si sono di fatto presi carico del Welfare di un Paese, grazie ai provvedimenti di Governi che non hanno saputo o voluto progettare un futuro che facesse della Fiat una delle componenti dello sviluppo e non il solo possibile.

Il senatore Adolfo Urso è tra i fondatori di Forza Italia. E’ Ministro delle Imprese e del Made in Italy
Il senatore Adolfo Urso è tra i fondatori di Forza Italia. E’ Ministro delle Imprese e del Made in Italy

La rete colabrodo

Il risultato finale di questa politica asfittica è che il nostro sistema dei trasporti è fermo a concezioni vecchie più di un secolo. La rete ferroviaria fa acqua da tutti i buchi. Le autostrade sono al collasso, perché devono sostenere una mobilità che nel frattempo è esplosa. Ci sono migliaia di operai non riqualificati che vivono di cassa integrazione e la poca dignità che questa concede. E il Governo, succube della situazione e incapace evidentemente di fare altro, continua a stanziare soldi per prolungare l’agonia.

In tutto questo, come possono le biciclette guadagnarsi lo spazio cui avrebbero diritto e che permetterebbe se non altro di rendere le città meno irrespirabili? Come può uno scoglio arginare il mare? Il limite dei 30 voluto a Bologna è in perfetta linea con quanto accade in altre grandi città d’Europa (in apertura Amsterdam, immagine depositphotos.com): è il contesto a essere diverso. E francamente, ragionando sull’odio che muove gli automobilisti nei confronti di chi va in bici, è difficile non immaginare che ci sia dietro una scelta politica ben precisa. Perché altrimenti dei soggetti deboli e privi di pretese, se non quella di pedalare restando vivi, dovrebbero provocare la rabbia degli altri? Perché portano via lo spazio, come altrove altri soggetti ruberebbero i posti di lavoro? Tutto questo ha un nome: razzismo.

Le immagini degli stabilimenti Mirafiori parlano ormai di abbandono (depositphotos.com)
Le immagini degli stabilimenti Mirafiori parlano ormai di abbandono (depositphotos.com)

Il potere divide

Siamo qui a immaginare un futuro migliore, fatto di ciclabili e percorsi che valorizzino il bello d’Italia. Eppure siamo incapaci di fare fronte comune, perché la politica ha già provveduto a dividere il dissenso, lasciando a ciascuno la convinzione di essere un interlocutore privilegiato. E’ così per il tema della sicurezza, ad esempio, affrontato con passione da decine di associazioni che mordicchiano l’osso, ma non incidono. Abbiamo letto della frustrazione dell’onorevole Berruto, sappiamo degli sforzi di Zerosbatti e della Fondazione Michele Scarponi. L’impegno dell’Associazione dei ciclisti professionisti e quella di Marco Cavorso, che si è gettato nella mischia dopo aver perso un figlio. Eppure si continua a morire e a subire la grottesca ironia di personaggi che poi si trincerano dietro alla scusa di una battuta non compresa.

Le strade sono strette, le auto sempre più larghe. Un SUV di ultima generazione ingombra più del furgone di un tempo, sulla cui misura furono costruite le strade, dalle statali in giù. La bici invece è ancora larga come le spalle di chi la pedala, eppure non vi trova più posto. Intanto si violano i limiti di velocità. Si tagliano le rotonde come chicane. Non si sa più cosa siano la precedenza e la distanza di sicurezza. Si parcheggia in file parallele. E alla fine i ciclisti, fuori e dentro le città, vengono vissuti come nuvole di moscerini sul parabrezza nelle notti d’estate. Forse qualcuno pensa che, senza bici sulle strade, l’Italia potrà in qualche modo rifiorire?

Il limite dei 30 all’ora e la convivenza fra auto, bici e moto è la regola in molte metropoli d’Europa (depositphotos.com)
Il limite dei 30 all’ora e la convivenza fra auto, bici e moto è la regola in molte metropoli d’Europa (depositphotos.com)

L’apartheid culturale

Siamo vittime di una apartheid culturale palese e offensiva. La strada per le auto e la stradina per le bici. I fondi per le auto e l’elemosina alla bici. I diritti delle auto e i diritti delle bici, in un Paese privo di empatia e di politici con una vera visione. Gente che probabilmente non ha mai vissuto fuori dai confini e non ha la minima idea di come sia fatto un sistema che funzioni. 

In tutto questo, bici.STYLE si accinge a concludere il nono mese di vita e, nel dirlo, vogliamo anche ribadire che NOI CI SIAMO. Ci rendiamo conto che il nostro sogno di vivere lo stile della bicicletta significa infilarsi nei varchi lasciati liberi, facendolo però con la potenza di una visione ecologica e potente. Eppure restiamo convinti che il nostro essere una massa critica, tenace e silenziosa alla lunga avrà il sopravvento sul puntellare un sistema giunto al collasso. Abbiamo dei figli, insegniamo loro un mondo migliore. Siamo di esempio per gli amici. Impegniamoci nel quotidiano, scrivendo o dando l’esempio, per raccontare la differenza. Il solo modo perché nulla cambi è lasciare che a governare siano loro, rinunciando a votare e non impegnandosi concretamente per il cambiamento. Si fa politica anche lasciando a casa l’auto e scegliendo di usare la bicicletta.

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