| 22 Giugno 2025

Imprese estive e come realizzarle. La traversata delle Alpi di Sara

Estate, tempo di avventure. Grandi o piccole che siano, la strada chiama. Ma mettersi in sella per un viaggio non sempre è così facile o scontato. Però con la buona volontà e lo spirito giusto si può fare. Anche imprese enormi. Oggi vi raccontiamo la storia, ma soprattutto vi diamo i consigli, di Sara Armento che, qualche estate fa, assieme a Mattia Susani, ha percorso la traversata delle Alpi da Trieste a Ventimiglia: oltre 2.000 chilometri e quasi 60.000 metri di dislivello.

Non è la prima volta che parliamo di questa mitica e sempre variabile traccia (Le Alpi da Gorizia a Ventimiglia), ma in questo caso abbiamo chiesto a Sara come ci sia finita, lei che è principalmente una runner, non una ciclista. Sara un blog molto seguito che si chiama Runningfactor, quindi corsa a piedi, ma d’estate, con meno gare e più bisogno di far respirare le articolazioni, torna in sella. In una di queste “pause dalla corsa”, tre anni fa ha ideato l’Alpitour: una traversata Est-Ovest dell’arco alpino, lunga, faticosa e piena di spunti.

Sara e Mattia in partenza da Piazza Italia a Triesti per la sfida che hanno ribattezzato: Alpitour (foto Runningfactor)
Sara e Mattia in partenza da Piazza Italia a Triesti per la sfida che hanno ribattezzato: Alpitour (foto Runningfactor)
Sara, come nasce l’idea di fare questa avventura?

E’ nata con un mio amico, che poi è stato anche il mio compagno di viaggio, Mattia Susani. In un gruppetto di quattro amici ha proposto questo viaggio estivo. Lui era già un gran pedalatore e abituato a fare questo tipo di avventure. Nel 2022 ha lanciato l’idea dell’Alpitour, il tour delle Alpi, e noi l’abbiamo assecondato. Dico noi perché all’inizio dovevano esserci anche altre persone. Da lì abbiamo iniziato a lavorarci su, studiando la traccia e organizzando l’itinerario.

Avevate una traccia di riferimento?

Diciamo che ci siamo ispirati alla traccia di Omar Di Felice, ma Mattia, che è un grande amante delle salite, l’ha modificata per renderla più lunga e tosta. Non gli è mai piaciuto pedalare su stradoni o statali, quindi con Komoot ha tracciato tutto cercando strade secondarie, più sicure e tranquille. Volevamo evitare il traffico anche per una questione di sicurezza, visto che viaggiavamo in totale autonomia e con bici cariche.

Quanto è durata questa traversata delle Alpi?

Abbiamo pedalato per 21 giorni senza stop. Sarebbero stati 20 se al diciannovesimo giorno non mi avesse morso un cane. Alla fine sono state tante tappe quante quelle del Giro d’Italia.

Capitolo bagaglio: cosa hai portato e soprattutto come hai pensato di farlo?*

E’ stato un tema delicato, soprattutto per me come donna ho dovuto ridurre al minimo tutto. Però avevo già fatto esperienza nei mesi precedenti con mini viaggi in bikepacking. Avevo imparato a portare il minimo indispensabile e materiali leggeri. Anche il cibo lo gestivamo strada facendo: una piccola scorta all’inizio, poi si riforniva nei supermercati. Niente integratori, giusto qualche barretta e qualche gel. Preferivamo cibo vero: biscotti, frutta secca, cracker. Anche i sali minerali erano ridotti al minimo, più che altro ci concedevamo una Coca-Cola o un tè.

Equipaggiamento ridotto all’osso: una borsa “grande” sottosella, una al manubrio e una più piccola sull’orizzontale (foto Runningfactor)
Equipaggiamento ridotto all’osso: una borsa “grande” sottosella, una al manubrio e una più piccola sull’orizzontale (foto Runningfactor)
Per la meccanica invece, cosa avevate dietro?

Avevamo un kit per le forature, con camere d’aria anche se io montavo i tubeless. E ovviamente la pompetta. Il minimo per il pronto intervento.

Ma voi dormivate in hotel, B&B… comunque al coperto: com’era l’abbigliamento civile?

La prima cosa a cui ho pensato sono state le scarpe, quelle più voluminose, che infatti non ho portato. Oltre a quelle da bici, avevamo delle ciabatte leggere carine tipo da campeggio. Per il resto tutto molto essenziale: un paio di magliette, una per dormire e una per la cena, un pantaloncino da running compatto e un paio di completi intimi da lavare di volta in volta. In caso di freddo usavamo le giacche da bici, incluso l’impermeabile.

E com’era composto il kit pioggia?

Avevamo copriscarpe, pantaloni da pioggia da moto presi da Decathlon, una giacca impermeabile tipo Gabba della Castelli e guanti.

Mentre per pedalare?

Due completi: uno addosso e uno nella borsa. Io mi sono portata anche una terza maglia, da donna… Tre paia di calzini. Niente maglie termiche, si pedalava leggeri. Se serviva, ci coprivamo con quel che avevamo. L’idea era sempre ridurre al massimo il bagaglio. Quindi partire semplici e leggeri e nel caso aggiungere: questa era la nostra filosofia.

Quante borse avevi?

Avevo la borsa sottosella, la più capiente, da circa 12 litri, e due borse davanti: una sul manubrio e una piccola sul tubo orizzontale. Avendo una bici piccola, ho dovuto fare i conti anche con lo spazio: o la borsa al telaio o la borraccia. Alla fine ho preferito portare più acqua possibile, anche perché facendo parecchie strade secondarie non sapevamo cosa avremmo trovato.

L’idea era di coprirsi in caso di necessità e non di partire troppo coperti. Qui la soluzione (intelligente) dei pantaloni da pioggia che si usano sopra agli abiti in moto
L’idea era di coprirsi in caso di necessità e non di partire troppo coperti. Qui la soluzione (intelligente) dei pantaloni da pioggia che si usano sopra agli abiti in moto
Come vi siete organizzati con gli hotel?

Avevamo prenotato solo le prime tre notti. Poi giorno per giorno. A fine tappa la routine era: doccia, bucato, cena e prenotazione per la notte successiva. Abbiamo sempre rispettato le tappe, tranne un paio di volte in cui abbiamo anticipato. Ma poi, col morso del cane che ci ha rallentato un po’, siamo tornati in tabella. Cercavamo strutture vicine alla tappa, anche 5 chilometri prima o dopo, l’importante è che fossero economiche… In Svizzera soprattutto comandavano i prezzi!

Sara, cosa diresti a una donna che vuole fare lo stesso?

Di non lasciarsi frenare da paure o dubbi. Se si ha voglia di fare un’esperienza così, bisogna lasciarsi andare. Io non mi sono mai pentita, né sentita in pericolo. Va detto che non ero da sola, c’era Mattia, uomo esperto. Anche nei momenti più difficili, come sul Passo del Rombo, sotto il diluvio, ho mantenuto la calma. Mi preoccupava più la discesa che la salita. Ma in cima ti fermi, entri nel rifugio, ti scaldi, mangi qualcosa e poi affronti tutto con filosofia. Come nella vita.

Oggi lo faresti da sola?

No, non da sola. Ma solo perché non sono una ciclista esperta. Se dovessi avere un problema meccanico serio non saprei dove mettere le mani. Se invece avessi accanto una ciclista esperta, perché no? Da runner so gestire me stessa e non avrei problemi a fare una cosa simile, ma in bici c’è anche la componente meccanica da considerare.

Come si gestiva lo sforzo? Era un’andatura regolare o ci sono stati momenti di crisi?

Crisi vere e proprie no, alla fine si andava in automatico. La parte più difficile è stato l’adattamento iniziale. Avevo fatto allenamenti e mini viaggi prima, ma pedalare per 21 giorni con una media di 120-130 chilometri e 3.000 metri al giorno è tutta un’altra cosa. I primi giorni sono serviti per entrare nel ritmo. Partivamo presto, arrivavamo verso le 18 o 19. Poi doccia, bucato, cena, e si andava a letto tardi. Un ciclo intenso.

E’ quasi fatta: sulle Alpi Francesi il toccante momento dell’Iseran che ha sottolineato Sara
E’ quasi fatta: sulle Alpi Francesi il toccante momento dell’Iseran che ha sottolineato Sara
Quindi è stato più un problema di ritmo che di fatica in senso stretto?

Sì, anche per la routine: sveglia, colazione, monta e smonta borse. A volte gli albergatori ci lasciavano portare la bici in camera, ma comunque la borsa sottosella la smontavamo sempre. Dentro c’erano le cose di uso frequente: cambi, spazzolino, il minimo indispensabile. Le altre borse si aprivano solo in caso di emergenza. Smonta, rimonta, stringi: sembrano dettagli ma incidono sullo “stress”. Come quando in vacanza non riesci più a far entrare tutto in valigia. Piccole cose, ma che alla lunga contano.

A che ora partivate la mattina?

Di solito verso le 8, ma dipendeva dalla tappa e dal meteo. Se c’era rischio pioggia anticipavamo, anche alle 6. Colazione strada facendo. Ma poi, l’acqua la prendevamo lo stesso!

Il momento più toccante del viaggio?

Ce ne sono stati molti, ma il più forte è stato sul Col dell’Iseran, al tramonto. Luci incredibili, un panorama selvaggio, la musica nelle cuffiette e i pensieri che correvano. Mi è venuto in mente mio nonno, che amava il ciclismo e il Giro d’Italia. Mi sono emozionata tanto. Un momento che porterò sempre con me.

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