Omar ha la voce bella allegra di chi si è lasciato il buio alle spalle. Stamattina è andato in treno a Milano per una visita e poi, tornato a Bormio in cui ha vissuto la convalescenza, ha preso la bici ed è riuscito a fare un giretto. Qualche giorno fa è salito sullo Stelvio. Per essere uno che ha rischiato di morire, uscendone con diverse ossa rotte, le cose stanno filando davvero bene (in apertura, foto paul_graf).
Era il 6 luglio alla Maratona dles Dolomites – per riassumere alla svelta le puntate precedenti – quando nella discesa del passo Gardena, Omar Di Felice è rovinato sull’asfalto senza motivi apparenti. L’ultracycler romano, che stava rifinendo la preparazione per la Transcontinental Race ed era al top della condizione, in quel solo colpo ha visto sbriciolarsi le certezze di atleta e di uomo. Due vertebre fratturate, emorragia alla testa con parecchi punti di sutura, escoriazioni ed ematomi vari. Senza il casco sarebbe morto e forse non gli basterà neppure ringraziare per questo. Dieci giorni dopo il suo incidente, infatti, una caduta s’è portato via Andreas Tonelli, volato nel vuoto dal passo Sella. Sabato saranno passati due mesi e Omar ritroverà il suo pubblico all’Italian Bike Festival, ma noi siamo stati impazienti e ci siamo fatti raccontare come procede il recupero.
Caro Omar, sono passati due mesi, come stai?
Piano piano si torna alla normalità. I tempi di recupero di un atleta sono anche condizionati dall’obiettivo finale. Un atleta non si mette in malattia e aspetta i mesi necessari, poi fa la fisioterapia con calma. Io voglio tornare a fare la mia attività in sicurezza il prima possibile, quindi ho cercato di fare il massimo che mi è stato consentito. Diciamo che da questo punto di vista, mi sta andando bene.
Si è capita alla fine la dinamica della caduta?
Devo aver preso un taglio, una buca o qualcosa del genere. Devo ancora tornare lassù, sul luogo del… delitto, perché mi sono ripromesso di fare un giro in bici da quelle parti. Sono finito fuori strada, ma ero in rettilineo, neanche in una parte guidata. L’asfalto non era dei migliori, in compenso quando si è trattato di prestarmi soccorso, sono stati velocissimi. Dopo pochi minuti ero sull’ambulanza verso l’arrivo e lì c’era un medico che mi ha fatto la prima visita. Poi con un’altra ambulanza mi hanno portato direttamente a Brunico.
La ripresa dell’atleta dipende dall’obiettivo: significa che hai già qualcosa che bolle in pentola?
Io un obiettivo in testa ce l’ho. Quest’inverno avrei voluto fare un’avventura che non posso ancora svelare, in un posto molto freddo, molto duro, molto estremo. Proprio per quello i medici hanno detto che è meglio di no, perché il freddo intenso a meno 20-30, non è favorevole per la guarigione delle fratture. Un conto è che riprendi la bici in Europa o vicino casa, un conto è che te ne vai dall’altra parte del mondo, rischiando di farti male in una zona del corpo in cui passano i nervi e il midollo. Meglio non rischiare, per cui almeno per quest’anno quell’obiettivo l’ho annullato. Però la mia idea è fare qualcosa entro la fine della stagione, anche solo simbolicamente per rimettermi in pista e non chiudere l’anno con un infortunio.
Già definito qualcosa?
Trovere un obiettivo, a prescindere che si riesca a perseguirlo o meno, ti aiuta anche nel processo di guarigione, di fisioterapia, per avere comunque un orizzonte. Poi magari impieghi di più o anche meno, sei costretto a fare altre cose, però almeno ti dai una prospettiva. Diverso che aspettare nel letto. All’inizio i medici mi avevano detto di tenere il collare e che sono stato fortunato. Io di questo sono convinto, però mi ha fatto bene avere un obiettivo. A parte la bicicletta, ho una vita sempre molto movimentata. Viaggio molto, invece sono fermo a casa da due mesi senza neanche un viaggio in auto. Avere qualcosa da fare in autunno mi ha fatto davvero bene.
Come hai passato i primi tempi, quando eri costretto in casa?
Stavo preparando la Transcontinental Race, che sarebbe partita da lì a tre settimane ed ero proprio nella fase top della condizione fisica. Stavo bene, tutto a posto, tutto preciso, invece in colpo mi si è fermato il mondo. A un certo punto qualcuno ha spinto il pulsante e mi ha fermato. E ora che faccio? Mi sono inventato le prime settimane, quando c’era tanto dolore. Stavo a letto. Ho guardato il Tour de France, poi il Tour de Pologne, il Tour di Slovacchia. Tutto quello che mandavano in televisione, io l’ho guardato, ma a un certo punto non mi bastava più.
Come è stato risalire sulla bici dopo tanto tempo?
Dopo dieci giorni ho cominciato a fare qualcosina sui rulli, con il collare e mille attenzioni. Sistemando la posizione della bici, perché con il collare devi tenere il collo dritto e non potevo stare troppo piegato. Perciò ho messo degli spessori sotto la ruota. Poi ho fatto tanta ginnastica isometrica e tanta elettrostimolazione. A un certo punto, dopo un paio di settimane, mi hanno autorizzato a fare delle passeggiate. Ero già a Bormio e stando attento a non inciampare, facevo delle lunghe camminate. Finché allo scadere delle otto settimane, mi hanno dato il permesso di togliere il collare.
La rinascita?
Una necessità. Le fratture si stavano saldando, era importante non perdere la muscolatura del collo perché è quella che sostiene la colonna. Se fossi rimasto troppo a lungo con il collare, avrei rischiato che la frattura andasse a posto, ma non avrei avuto la forza per sostenere tutto il resto. E a quel punto avrei rischiato di farmi ancora male.
Come è stato tornare a pedalare?
All’inizio ho fatto delle passeggiate e ogni giorno è stata un’illuminazione. L’aria in faccia è stata una sensazione bellissima. E nemmeno mi ha fatto male tornare in sella. La testa mi diceva di fare una cosa, le gambe tiravano al contrario, chiedevano di aspettare, perché erano due mesi che non uscivo su strada. Ma per come si era messa, sono molto soddisfatto. Sono stato attento a cosa mangiavo, non ho preso peso. Le mie sensazioni sono state molto meglio di quello che mi sarei aspettato. Non è stato un ripartire da zero, come quando d’inverno lasciavi la bici per un mese e quando la riprendevi, avevi tre chili in più e non la muovevi. Io sono stato molto attento con la dieta. Ho cercato di rimanere mentalizzato, come se ogni giorno fosse un giorno di preparazione. Perciò quando l’ho ripresa, è stato meglio del previsto.
Perché sei a Bormio?
Quando mi hanno dimesso da Brunico, mi hanno detto che andare fino a Roma sarebbe stato un po’ troppo complicato. Con il collare sarei morto di caldo, quindi sono andato a Bormio per stare un mese tranquillo e fresco. Perciò ho la fisioterapista quassù e anche l’ortopedico, il neurologo lo incontro a Milano. E il resto lo stanno facendo tutto in teleconsulto. Ogni 3 settimane devo fare una TAC e una risonanza per verificare che sia andato tutto correttamente. Sono seguito molto bene.
Il più è fatto?
Devo ritrovare la confidenza con la strada, con i rischi che si corrono. L’altro giorno sono salito sullo Stelvio. Mi fa un po’ di impressione quando passano le auto, ma poi scendendo, non ho avuto problemi. Ho lavorato da subito con uno psicologo con una tecnica che si chiama EMDR e viene utilizzata nei grandi traumi. Ti aiuta attraverso degli esercizi di visualizzazione ad evitare che il trauma ti entri troppo dentro.
Sei un personaggio molto attivo sui social, che tipo di riscontri hai avuto da quel mondo?
Devo dire che inaspettatamente ci sono stati una grande solidarietà e un grande affetto. So che c’è una grande comunità che mi segue, però non pensavo di ricevere un’ondata così grande. Non so come spiegarlo. Ho ricevuto messaggi da persone che non pensavo mi seguissero. Innerhofer, ad esempio, lo sciatore. Davvero un’ondata enorme, anche a Bormio, quando ogni tanto uscivo a passeggiare. E’ stato bello, molto positivo, molto piacevole. Questo tipo di solidarietà fa compagnia, ti rinfranca e ti fa capire che qualcosa di buono l’hai fatta. E tutto sommato dimostra che il mondo dei social tanto brutto non è.
Ci vediamo a Misano nel fine settimana?
Sarò giù tutto sabato, quindi passo a salutarvi al vostro stand. E se non ci vediamo, mando un messaggio e ci diamo un appuntamento da qualche parte. Venire giù è il segnale che la vita sta riprendendo…