«Le statistiche ci dicono che il 70 per cento degli spostamenti casa-lavoro avvengono nel raggio di 10 chilometri». Così esordisce Marco Pavarini di Extragiro, che da cinque anni si occupa di mobilità ciclabile. Lo fa soprattutto attraverso attività di consulenza, supporto e formazione come, ad esempio, l’organizzazione di corsi per diventare mobility manager, in collaborazione con il Gruppo Len.
Quali sono le accortezze che deve mettere in atto un lavoratore che voglia iniziare ad andare al lavoro in bici?
Il dato statistico che citavo fa riflettere, soprattutto pensando che gli spostamenti casa-lavoro avvengono per la stragrande maggioranza in auto, condotte da una sola persona. Per cui la prima cosa da fare è un’opera di informazione e convincimento sul fatto che esiste una mobilità alternativa all’automobile. Dopodiché il dipendente può chiedere all’azienda se ci sono pratiche che possano far rientrare l’andare a lavoro in bici all’interno di forme di welfare aziendale.
Ovvero?
Sapere se ci sono incentivi alla mobilità sostenibile che vengono messi in busta paga e sono detassati, come avviene in Emila-Romagna. Chiedere un luogo sicuro dove riporre la bici e magari, se proprio non una doccia, almeno uno spogliatoio per cambiarsi…
Come fare per superare delle proprie remore inziali, come la pioggia, la distanza, la fatica?
Chi inizia deve trovare una piccola motivazione di partenza, che può essere quella di cominciare ad andare al lavoro in bici una o due volte a settimana. La si può vedere come un esercizio fisico, il modo per avere un piccolo rimborso in busta paga o godersi la propria città facendo percorsi secondari. Magari all’itinerario si può aggiungere una tappa per fare la spesa o prendere il caffè in piazza. Per quanto riguarda la distanza, a parte il fatto che con le bici a pedalata assistita oggi si possono fare 5 o 10 chilometri senza problemi, c’è da dire che esiste anche l’intermodalità e non si deve coprire necessariamente tutto il tragitto in bici.
Usando il treno o la metro?
A Milano, nei pressi di alcune stazioni della metropolitana, ci sono garage affittati dal datore di lavoro dove, con lo stesso badge aziendale, i dipendenti possono entrare e prendere la bici per coprire l’ultimo tratto. O ancora, noi abbiamo lavorato con il territorio di Imola, dove il quartiere industriale è a 3-4 chilometri dalla stazione. Basta avere un punto di raccordo, una velostazione dove si può inforcare la bici (che sia propria o messa a disposizione dall’azienda) per raggiungere il posto di lavoro.
Rimane la questione della pioggia…
E’ ovvio che quando piove non faccia piacere pedalare ed è anche giusto che sia così, ma il punto è che l’atteggiamento da avere non è quello di dire: «Vendo la macchina e da domani vado sempre in bici». La ciclabilità non è necessariamente la soluzione a tutte le casistiche. Occorre invece pensare di allocare una percentuale dei propri spostamenti alla mobilità alternativa.
Come affrontare il problema che in molte città le ciclabili non sono sufficienti per garantire l’intero percorso in sicurezza?
Questa è una questione che riguarda non solo gli spostamenti casa-lavoro, ma anche casa-scuola, che sono i due grandi momenti in cui c’è maggiore traffico nelle ore di punta. Sicuramente è utile un’opera di pressione verso la propria Amministrazione a migliorare le infrastrutture, ma va anche detto che gli amministratori non sempre sono capacissimi ad implementare la ciclabilità. A noi per esempio sono capitati Comuni che ci hanno chiesto di aiutarli a mappare delle piste ciclabili che nemmeno sapevano di avere, ereditate dalle giunte precedenti.
Addirittura?
Sì, ma questo dell’individuazione dei percorsi ciclabili migliori è un tema che riguarda tutti. Dal singolo utente che deve riprendere in mano l’abilità che avevamo di consultare gli stradari e i Tuttocittà e che ora è facilitata da Google Maps, ai mobility manager di area, fino a coloro che hanno il compito di valorizzare il turismo della propria città evidenziando gli itinerari più adatti.