| 26 Agosto 2024

Viaggio in Armenia, il pastore del Caucaso e il bimbo yezida

YEREVAN (Armenia) – Ultima puntata del nostro cicloviaggio nel piccolo Caucaso. Dopo le prime due giornate sotto il solleone e altre quattro tappe nelle regioni più verdi dell’Armenia, ci accorgiamo che il proposito di chiudere in bici l’anello a Yerevan non è fattibile. Dovremo accontentarci di terminare la nostra avventura nella seconda città del Paese, Gyumri, e da lì ritornare alla capitale in treno.

Nel frattempo dobbiamo affrontare forse la tappa più epica, in buona parte sotto la pioggia e con un’ultima salita in quota. Prima, però, il gps ci fa passare per una ventina di chilometri in mezzo ad una pista appena visibile nell’erba alta dei campi. Persino un uomo a cavallo (di gran lunga il mezzo di trasporto più veloce sulle strade più dissestate) insiste nel dirci che la traccia che stiamo seguendo non è percorribile. Ma noi ci ostiniamo a seguirla, fiduciosi che da qualche parte sbucherà. E in effetti ci porta ai piedi della salita di giornata.

Non ha nome perché non attraversa alcun centro abitato, ma funge da spartiacque tra la regione di Lori e quella di Shirak. Già dal falsopiano la strada, da asfaltata, si fa rovinata, poi letteralmente sterrata. Non c’è anima viva e la foschia fa capolino sopra le nostre bici, purtroppo limitandoci la vista del panorama circostante ma, al tempo stesso, isolandoci da tutto. La pioggia leggera disegna rivoli tra i sassi e noi, metro dopo metro, siamo concentrati su dove mettere la ruota anteriore per fare meno fatica.

Il pastore del Caucaso

Stefano e Daniele si sono avvantaggiati sull’ascesa, inghiottiti dalla nebbia che ormai limita la visuale a non più di una ventina di metri. Nel punto in cui si raggiunge la vetta, la strada fa una contropendenza e riprendiamo per un attimo velocità, ma sulla sinistra vediamo qualcosa. Dapprima un paio di tende blu, poi subito dopo una macchia biancastra buttarsi in mezzo alla strada.

«E’ un cane!», gridiamo a Davide che immediatamente tira i freni fino al bloccaggio della ruota posteriore. Siamo costretti a scendere dato che è un bel molosso e ci impedisce di andare avanti. E’ il famigerato pastore del Caucaso con cui per la prima volta usiamo il dissuasore ad ultrasuoni. Funzionerà? Lui piega la testa una volta da un lato e una dall’altro, più incuriosito che infastidito. Quand’ecco che dalle tende blu sbuca un bambino. E’ alto una spanna più del cane e per un attimo i nostri occhi si incrociano, increduli. Nel silenzio interrotto solo dalla lieve pioggia e dal nostro respiro affannato, mette la mano sopra la collottola della bestia. E’ il segnale che possiamo avanzare, prima a piedi e poi di nuovo in sella… Ci diranno poi che il nostro piccolo salvatore è uno yezida, una minoranza etnica di stirpe curda presente qui in Armenia.

DUE BIRRE COME PREMIO. ANZI, QUATTRO…

Valichiamo a quasi 2.300 metri di quota e la discesa ci premia con il ritorno del sole che asciuga le nostre mantelline. Ma soprattutto è la maestosa visuale su degli altipiani sconfinati a riempirci lo sguardo. Dobbiamo solo stare attenti che il forte vento laterale non ci faccia sbandare sulla sterrata. In certi tratti scendiamo leggermente piegati di lato, come se ci “appoggiassimo” alle raffiche che vengono da destra.

Alla fine della discesa ritroviamo Daniele e Stefano, fermi a bordo strada. Hanno una busta di plastica con due birre che gli sono appena state regalate da un uomo che risale in macchina e scompare. Una volta ricompattato il nostro quartetto, ci rimettiamo in marcia attraversando l’altopiano verso la nostra struttura prenotata. Entriamo nel polveroso villaggio di Musayelyan come i cowboy del Far West, tra mucche, capre e cani. D’un tratto un’auto ci viene incontro sobbalzando sulle buche: è il tizio di qualche minuto prima. Abbassa il finestrino e ci allunga altre due birre. E’ andato appositamente a prenderle chissà dove per noi due rimasti attardati… L’Armenia è anche questo.

Entriamo nel polveroso villaggio di Musayelyan come i cowboy del Far West, tra mucche, capre e cani
Entriamo nel polveroso villaggio di Musayelyan come i cowboy del Far West, tra mucche, capre e cani

A casa di Artush

La sera la passiamo nel vicino agglomerato di Vardaghbiur, in una struttura modernissima che sembra non avere nulla a che vedere con l’umile paesaggio circostante. Si chiama Herbs & Honey ed è stata realizzata dal titolare Artush con l’aiuto di fondi europei. Si tratta di una casa su due piani finemente arredata in stile scandinavo. Al piano superiore ci sono gli appartamenti, al piano terra la sala da pranzo dove passiamo il dopo cena a discutere con lui delle potenzialità di questo Paese.

«L’Armenia ha raggiunto l’indipendenza da poco più di 30 anni ed il governo attuale – dice – ha fatto più in questi cinque anni che quelli passati nei 25 anni precedenti. Certo, di strada da fare ce n’è ancora tanta».

A GYUMRI e poi A YEREVAN

L’ultima tappa è la più semplice, dopo un primo tratto su fondo erboso che costeggia un fiume placido e supera una mandria altrettanto tranquilla, saltiamo su un grande stradone sterrato che punta verso Sud. Verso Gyumri, la seconda città Armena per grandezza, come dicevamo, ma anche sua capitale culturale. Queste ampia strada bianca che supera le colline dritto per dritto quasi ci ricorda gli scenari toscani, se non fosse che d’un tratto troviamo a margine della strada un residuato bellico. Una torretta di carro armato con tanto di cannone in bella esposizione, il tutto imbullonato su una piastra di cemento.

L’arrivo a Gyumri lo facciamo salendo alla Fortezza Nera, una struttura a pianta circolare costruita dalla Russia imperiale nell’Ottocento. Accanto, giganteggia la statua di Madre Armenia, personificazione femminile del Paese. Fu costruita nel 1975, appena 8 anni dopo una statua simile presente a Yerevan.

Gyumri è la prima città che presenta un po’ di turismo, tra quelle attraversate finora. Ci sono chiese e un’area pedonale colorata, con negozi di souvenir e gente vivace.

L’indomani siamo su un vecchio e lento treno per Yerevan ed il passeggio nella capitale ci porta, al tramonto, sul complesso architettonico della Cascata, una scalinata monumentale in pietra calcarea dalla cui sommità si domina tutta la città. Con l’Ararat all’orizzonte, da quassù riviviamo il film della nostra avventura: il vino di Areni, il Lago di Sevan, i monasteri, le improbabili strimpellate con l’ukulele, gli imprevisti meccanici e gli aiuti ricevuti…

Un angolo remoto di mondo

L’Armenia è una terra che la geografia politica ha collocato sempre tra potenze in lotta fra loro, dall’Impero Ottomano alla Persia, fino alla Russia. E a cui la storia ha fatto pagare pesantissimi dazi (se volete saperne di più, dagli albori fino al genocidio del popolo armeno del secolo scorso, vi consigliamo questa lezione del professor Aldo Ferrari).

Da Italiani abbiamo avvertito due cose: una grande considerazione per il nostro Paese e una volontà, soprattutto dei giovani armeni, di aprirsi all’Occidente. Due concetti ribaditi anche dal ragazzo di un pub del centro che, da dietro al suo bancone, ha sollevato la sua birra assieme alle nostre: un brindisi ai quattro amici pedalatori, compagni d’avventura per dieci giorni in quest’angolo di mondo.

Viaggio in Armenia, ultimo atto

L'ultima parte del viaggio in Armenia misura 124,16 chilometri, con un dislivello positivo di 1.479 metri. Quota minima di 1.382 e massima di 2.302.

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