Sul fenomeno gravel si è detto e scritto molto, eppure mano a mano che gli anni passano si mette a fuoco sempre di più questo strano “oggetto”, l’ultimo arrivato nella famiglia del ciclismo. Ma non nato dal nulla, dato che il nostro sport affonda le sue radici nelle strade sterrate.
Ieri si è disputata la Gran Fondo Strade Bianche sugli stessi percorsi che il giorno prima hanno visto l’ennesima impresa di Pogacar. La Gran Fondo era per bici da strada ma non è passato inosservato che molti vi hanno partecipato con la gravel.

La nostra esperienza
Sempre questo weekend ci siamo dilettati con un’uscita in sella con gli amici stradisti nel cuore dell’Umbria. Facendo parte di quei gravellisti che hanno optato per una seconda coppia di ruote da strada, per la prima volta in questo 2025 abbiamo montato quelle e ci siamo accodati. Pur amando le varie sfaccettature della bici (strada, salite, offroad, ciclismo urbano…) mentre macinavamo chilometri ad una bella andatura per i nostri standard, alcuni pensieri ci passavano per la mente.
Tutti in fila indiana a limare la ruota di quello davanti, le continue segnalazioni delle buche o delle auto parcheggiate male che sbucavano sulla carreggiata, le strade principali un po’ più trafficate che rendevano insolenti gli automobilisti che dovevano superarci, le strade secondarie più rovinate che ci costringevano a continui slalom, soprattutto nei tratti veloci. Insomma, mancava qualcosa rispetto a quello che avevamo passato questo inverno sugli sterrati. Cinque anni fa, pensavamo, eravamo tra i pochi ad avere una gravel nella nostra città, oggi invece si sono moltiplicate, pur rimanendo in minoranza rispetto alle bici da corsa e alle mtb (soprattutto le e-mtb).
Lontani dalle auto
Fin qui l’esperienza personale. Ma perché il gravel ha preso piede e non si è sgonfiato come una moda passeggera? Per vari motivi, molti dei quali sono conosciuti e li abbiamo anche accennati facendo riferimento alla nostra uscita di sabato. Le strade sono più pericolose dei sentieri offroad (purché non si superino i propri limiti nei tratti più tecnici) sia per la condizione del manto, sia per la presenza di automobilisti indisciplinati che non sempre rispettano il metro e mezzo di distanza laterale al momento del sorpasso. E poi c’è il senso di libertà di decidere di cambiare superficie, e quindi percorso, aumentando la varietà dei propri giri nella propria zona che, altrimenti, rischierebbero di ripetersi con più frequenza.
C’è anche il discorso economico: con una sola bici si ha la sensazione di averne due. Non è esattamente così per chi pedala da anni su una bici da strada o su una mountain bike, ma per chi si accinge a varcare la soglia del mondo a pedali questo fattore non è secondario.
Proviamo a vedere se ce ne sono altri, di questi motivi. Quando abbiamo intervistato la psicologa Manuela Ansaldo è stato ribadito il concetto dell’importanza per l’essere umano di stare all’aria aperta e a contatto con la natura. A meno di non stare in casa a fare i rulli, anche le altre tipologie di bici sono consone a questo scopo, eppure la gravel sembra avere qualcosa in più, qualcosa di viscerale…
Ritrovare una connessione
Quasi tutti viviamo una vita lavorativa frenetica, gli orari si allungano, la competizione, i risultati per compiacere un superiore o un cliente, le scadenze, le responsabilità… E’ davvero necessario portare anche in bici questa forma mentis? Ecco, probabilmente la gravel ci riporta al lato più innato, quello del gioco fine a se stesso. Ci piace fare velocità su asfalto ma anche sporcarci un po’ con il fango e con la terra, ritornare nella custodia del bosco o passare in una strada sterrata accanto ad un recinto per rivedere qualche animale che ci osserva come per ricordarci che apparteniamo allo stesso genere.
Si dirà: «Tutto bello, ma con la gravel non vai forte in salita come con una bici da strada e non puoi fare i sentieri scassati che fa una mtb». E’ vero, ci sono dei compromessi, ma basta tornare al discorso di prima: se si decide di lasciare a casa o in ufficio l’ansia da prestazione per ritrovare una connessione più vera con se stessi, che problema c’è?
E le aziende hanno capito
Questi concetti sono stati capiti anche da organizzatori di eventi ed aziende del settore, che li fanno propri per poi proporre manifestazioni e soluzioni tecniche. I primi per far conoscere sempre più i propri territori (foto apertura, Gravellina), le seconde per assecondare le esigenze di chi pedala. Non è una sorpresa constatare che gli eventi gravel, giornalieri o trail, siano per lo più privi di classifiche. Inoltre, a poco a poco il gravellista ricerca, per quanto possibile, la bici più adatta a sé. Noi, ad esempio, siamo passati da una coppia di ruote gravel da 29 pollici e 40 mm di sezione ad una da 27,5 pollici e 48 mm. Questo perché riteniamo che sia l’assetto più adatto al territorio in cui viviamo, fatto da poche strade sterrate ben battute e più da mulattiere.
Altri iniziano con la gravel in alluminio per poi passare al carbonio o, se ricercano il comfort, all’acciaio. Quest’ultimo caso vale soprattutto per chi vuole prolungare l’esperienza in sella per più giorni e magari farci anche dei cicloviaggi.
I viaggi e l’avventura
Ed ecco l’altro grande vantaggio della bici gravel. L’incontro col bikepacking l’ha portata ad essere la bici ideale per scoprire terre sconosciute. Terre in cui si può essere costretti (ma spesso ce lo si va a cercare, per i motivi di cui sopra) a lasciare l’asfalto per proseguire la tappa su sterrato.
A fine giornata non c’è l’assillo di controllare watt e tempi di scalata ma, soprattutto se si è in compagnia, ci si premia con una birra, con un panino. Con una bella cena se si è pedalato tutto il giorno – Tanto domani bruciamo tutto -. O con qualche foto che i social fra alcuni anni ritireranno fuori a nostra insaputa facendoci ricordare di quei momenti in cui siamo stati bene.