Lo scorso 20 marzo si è svolta a Roma, nel Salone d’Onore del Coni, l’iniziativa “Un popolo in movimento”, promossa da ACSI. La conferenza era finalizzata alla discussione intorno all’annosa questione della sicurezza in bicicletta. Abbiamo chiesto ad Emiliano Borgna, vice-presidente di Acsi e Responsabile Settore Nazionale Ciclismo, di raccontarci di cosa si è trattato.
Cosa vi ha spinto ad organizzare un evento del genere?
L’idea è nata in collaborazione con Roberto Sgalla di Formula Bici. Volevamo, con molta semplicità, mettere sul piatto un po’ di tematiche che spesso sono solo accennate. A maggior ragione dopo l’inserimento nell’articolo 33 della Costituzione Italiana di un nuovo comma (che recita che “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”, ndr).
Questa modifica alla Carta come si allaccia al discorso della sicurezza per chi va in bici?
Se viene riconosciuto il mio diritto ad esercitare la pratica sportiva, nella fattispecie il ciclismo, parallelamente dovrei anche avere un diritto di poterla fare in un determinato modo. E purtroppo sappiamo che oggi non è così, non tanto per gli eventi organizzati che devono seguire normative disciplinari precise, quanto all’ambito urbano che è una… giungla.
Il discorso ci porta alla riforma del Codice della Strada che è in discussione in questi giorni in Parlamento…
Esatto, basti pensare a due punti. Il primo è che nel Codice si parla ancora di “velocipede”, il secondo è che all’articolo 9 si inizia col dire che “sono vietate le competizioni sportive”, salvo poi elencare tutti i distinguo che permettono di organizzarle previe autorizzazioni. Un controsenso, no?
Eufemisticamente, una normativa non al passo coi tempi. Quale direzione hanno preso gli interventi della vostra conferenza?
Non possiamo pensare di prendere il modello Olanda attuale e applicarlo da noi. E’ vero che dobbiamo ambire a quello, ma dobbiamo arrivarci per gradi e partire dalle situazioni urbane che abbiamo. Occorrono ad esempio politiche di disincentivazione del traffico veicolare: basti pensare che ad Amsterdam un parcheggio in centro costa 7 euro l’ora.
Non è mai facile in un Paese come il nostro togliere dei privilegi acquisiti…
Si, ma proprio per questo abbiamo bisogno del supporto della politica, altrimenti non andremo da nessuna parte. A monte, come ho detto nel mio intervento, ci deve essere un cambio di mentalità e di senso civico. Bisogna cominciare da un’attività formativa che deve essere fatta nelle scuole, perché i bambini e i ragazzi di oggi saranno gli automobilisti di domani e si deve appunto partire da una condivisione e da un rispetto tra automobilisti e ciclisti. Infatti, se è vero che il ciclista è l’anello debole e che spesso ha la peggio anche quando ha ragione, è anche vero che tante volte egli pone in essere dei comportamenti che sono censurabili. Quindi se ci si conosce, se ci si rispetta da entrambe le parti, magari riusciamo a fare qualcosa di concreto.
Quali altre testimonianze avete raccolto?
Abbiamo cercato di invitare le istituzioni ai vari livelli e rappresentanti della politica, anche se poi ci rendiamo conto che la tematica è delicata da affrontare e a volte si ha paura nell’esporsi. C’è stata invece la partecipazione della Polizia Stradale, con un intervento di un delegato del Capo Compartimento. Abbiamo invitato alcuni degli organizzatori degli eventi più partecipati (ad esempio per l’Eroica c’erano l’ideatore Giancarlo Brocci ed il presidente Franco Rossi, ndr). Era presente anche l’atletica paralimpica Annalisa Minetti, già vincitrice del Festival di Sanremo. Tutti hanno messo sulla bilancia le proprie argomentazioni, col fine di fare sistema e prendersi a cuore il problema della sicurezza in bici.
Tra gli invitati alla conferenza c’era anche il presidente della Federazione Ciclistica Italiana, Dagnoni.
Sì, ma Cordiano non l’abbiamo visto. C’erano Daniela Isetti (già candidata alla presidenza FCI nel 2021, ndr) e Renato Di Rocco che ha parlato del suo ruolo e dei suoi mandati in Federazione (è stato presidente della Federciclismo dal 2005 al 2021, ndr). Renato è comunque una persona che ha grande conoscenza di questo mondo.
La Federazione ha mai organizzato iniziative come la vostra?
Che io sappia, no.
Sarebbe auspicabile che lo facesse?
Sarebbe auspicabile che tutti si sedessero e collaborassero in sinergia. L’ordinamento riconosce agli enti come il nostro e alle federazioni dei compiti e delle finalità che sono completamente diversi. Quindi non c’è né guerra né campanilismo. Noi ci occupiamo dell’attività di base e dello sport amatoriale, loro devono occuparsi dell’attività olimpica, pensare a far crescere i ragazzi ed i professionisti che ci porteranno le medaglie.