Li abbiamo seguiti fin dalla preparazione del viaggio. Vi abbiamo riportato più resoconti delle loro vicissitudini in Africa. Ora l’avventura si è conclusa e Davide Valacchi, Riccardo Nielsen e Antonio Gabrielli sono rientrati in Italia, con un volo dalla Costa d’Avorio preso poco prima di Pasqua. In realtà Antonio si è separato dagli altri due amici poco prima dell’ingresso nell’ultimo Paese. Per cui a guidare il tandem (questo il mezzo di trasporto su cui ha pedalato Davide, ciclista non vedente) era rimasto solo Riccardo.

Le strade si dividono
«Una domenica ci siamo salutati alla stazione di Nzérékoré, in Guinea – racconta Antonio – perché avrei voluto svolgere un’attività di volontariato con una ONG. Ma alla fine la cosa non si è concretizzata per motivi organizzativi» spiega. Lo scambio delle borse, il passaggio del tandem ai compagni e la bici singola per Antonio: un addio temporaneo prima del ritorno in Italia.
L’ultima parte del viaggio per Davide e Riccardo ha riservato una delle esperienze più intense: l’esplorazione, a piedi, del Monte Nimba, al confine con Liberia e Costa d’Avorio. «E’ una montagna che s’innalza nella giungla – dice Davide – una riserva naturale incredibile. Due guide locali ci aprivano la strada a colpi di machete. Non c’era quasi neanche il sentiero e io mi sono mosso quasi sempre da solo perché Riccardo mi ha spezzato due bastoncini e sono riuscito a usarli come… occhi».
Quasi 10.000 chilometri…
Poi, di nuovo in tandem per il passaggio in Costa d’Avorio: 400 chilometri su strade secondarie, tra paesaggi che cambiavano radicalmente. «Appena superato il confine, l’asfalto era perfetto, meglio che in Europa», nota Riccardo. Un contrasto netto con le vie dissestate della Guinea, segno degli investimenti infrastrutturali francesi. Ma il viaggio si è interrotto con un po’ di anticipo.
«Ci siamo ammalati e abbiamo finito 450 chilometri prima del previsto, a Issia. Per cui possiamo dire di aver pedalato da Bologna ad Issia» scherza Davide, ricordando che il viaggio era iniziato a Bologna lo scorso 5 ottobre e si è concluso dopo quasi 10.000 chilometri. Il volo di rientro è poi avvenuto da Abidjan, la capitale economica della Costa d’Avorio.
Tra ricordi e riflessioni
Ma cosa rimane di questo grande viaggio nei tre giovani ciclo-esploratori? Di questa lunghissima esperienza? Inizia Antonio a rispondere: «Ci stiamo abituando piano piano ad una vita un po’ più stabile. Sarà scontato dirlo, però è incredibilmente vero quanto sia diversa la vita lì rispetto a qui. Ora inevitabilmente apprezziamo molto di più tutte quelle comodità cose che reputiamo banali, come può essere l’acqua. Ma non quella calda, proprio l’acqua da bere…».
Per Davide, il ricordo più vivido è quello della Guinea Conakry: «Questo viaggio è stato per me molto più impegnativo dell’altro che avevo fatto in Cina, ed in Guinea le difficoltà hanno raggiunto l’apice, Faceva caldo, mangiavamo poco, ci siamo capitati durante il Ramadan, c’era difficoltà a fare tutto… Però proprio quei momenti sono quelli in cui il viaggio mi dà di più».
Continua Davide: «L’avventura che ti mette alla prova, che ti fa soffrire, mi faceva anche sentire come se vivessi in modo più intenso. Allo stesso tempo mi rendo conto che ciò dipende dal fatto che siamo dei privilegiati, perché noi possiamo fare quella vita temporaneamente e poi tornare qua e magari chi invece ci è nato non la pensa così. Però è un’esperienza che ti fa riflettere».
Due mondi a confronto
Riccardo è sulla stessa lunghezza d’onda: «Al rientro un nostro amico ci ha detto: “Bentornati nella terra dei finti uomini”. In effetti chi vive laggiù magari non ha l’acqua corrente, non sa se mangiare domani, nel senso che non sa se davvero riesce a fare due soldi o a coltivare qualcosa, però in questa essenzialità sono estremamente sereni.
Qui a Bologna vedo delle scene che mi fanno rimanere stupito: gente che “sclera” perché c’è il taxi fermo in mezzo alle scatole, ci insultiamo… Là invece tutti si aiutano, al di là del colore della pelle o della religione. Se hai bisogno di una mano, ti aiuto io. E non fra dieci minuti, ma adesso».
Il privilegio della bici
Scontato chiedere se tutte queste impressioni sarebbero state le stesse se avessero intrapreso il viaggio in auto, invece che in bici e tandem.
«Ti smentisco subito – risponde prontamente Riccardo – non sarebbe stato lo stesso con un’auto: la bicicletta ti avvicina alle persone, ti mette ad un livello per cui se piove o fa caldo soffri insieme a loro. Senti un profumo, vedi una cosa interessante e ti fermi». E il tandem, mezzo insolito, ha strappato sorrisi e curiosità. «In Africa le bici sono mezzi di lavoro: ci caricano di tutto, legna, animali, persino la TV! Noi, con le nostre borse, sembravamo quasi leggeri».
E poi i bambini: «Responsabilizzati fin da piccoli – ricorda Davide – aiutano, alcuni purtroppo lavorano. Si rendevano conto dell’aiuto di cui potevo avere bisogno io, quindi se mi vedevano un attimo da solo mi indirizzavano verso l’acqua, se la stavamo cercando. Oppure per darmi una cosa, me la passavano sulla mano».
Ora gli incontri pubblici
E adesso? Adesso c’è la voglia di condividere l’esperienza: ci saranno incontri pubblici tra scuole e serate dedicate (una il 27 maggio a Bologna).
«Abbiamo foto, video, storie. E la raccolta fondi per CPM è ancora aperta», ricorda Davide. Per cui se volete saperne di più sullo straordinario viaggio di questi tre giovani ciclo-esploratori potete seguire la pagina Facebook di I to EYE.
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